Futsal

Vanessa Pereira, la donna (forte e fragile) oltre la campionessa

Vanessa Pereira

Questa storia parte da molto lontano, da una città circondata dalle montagne di nome Patos de Minas, nel centro-est del Brasile. Qui, in un’abitazione all’interno di una scuola in cui i suoi genitori lavorano, vive Vanessa Pereira con le sue due sorelle. I turni di mamma e papà durano tutta la giornata e Vanessa, che ha appena 5 anni, trascorre tante ore in palestra. I professori le fanno conoscere la pallamano, la pallavolo e il basket, ma lei ha già scelto: il suo sguardo è sempre puntato sul campo da futsal, come per effetto di un richiamo naturale. Non sa perché, ma sente che quel luogo la renderà felice.

ANTONIO E CICINHO Un ragazzo di 5 anni più grande, riconosce quella luce negli occhi  e decide di insegnarle a giocare. Prima il passaggio, poi lo stop e il dribbling. Cicinho sa di avere davanti a sé un talento, quello che forse non sa, è che Vanessa non lo dimenticherà mai. “Ho fatto anche un tatuaggio in suo onore, gli devo tutto”. Sotto l’immagine di un ragazzo e una bambina che giocano c’è una frase: “I sogni diventano realtà”. E due iniziali: la A di papà Antonio e la C, che già conoscete.

Quella bambina incisa con l’inchiostro sulla pelle diventerà per tre volte consecutive la miglior giocatrice del mondo. Ma qui Vanessa mi ferma immediatamente.
“No, no. Scusa, ma è importante. Per me sono solo due volte, il titolo del 2011 non mi spetta. Ero andata in Spagna senza vincere nulla, una volta tornata in Brasile ho vinto la Liga Nacional senza giocare, ho partecipato solo alla Taça Brasil e al Mondiale, andando tra l’altro così così, ma ho avuto la fortuna di segnare due gol decisivi contro la Spagna in finale. Questo ha sicuramente pesato, ma quell’anno avrebbe dovuto vincere un’altra giocatrice: Jessika Manieri. Il 2011 è stato sicuramente il suo anno e l’avrebbe meritato”.
Eccola la prima sfaccettatura di una Vanessa che mai mi sarei aspettata, ed è solo l’inizio.

Vanessa

Vanesa Pereira in una foto di Naiara De Assis Gresta

DAL MACIEL AL GV Ma torniamo all’“Escola Estadual Adelaide Maciel”. La squadra dell’istituto partecipa a diversi tornei scolastici maschili, ma suo padre decide di presentare domanda in segreteria ed insieme ad alcuni professori mette su la prima formazione femminile. Il tiro è già una mina, il dribbling è secco. Quando può frequentare la prima scuola di calcio a 5, la WM, Vanessa è praticamente un fenomeno in miniatura che si fa notare nelle gare contro le città vicine, tanto che arriva anche la chiamata del São Paulo calcio a 11. Troppo presto, 12 anni sono pochi per allontanarsi da casa. Nel frattempo i tornei diventano nazionali, le candeline spente diventano 17 e passa un altro treno che stavolta non può perdere: quello del Governador Valadares. Uscire di casa non è facile, la distanza è tanta (10 ore di macchina) e il compenso è quasi ridicolo (circa 50 reais, l’equivalente di 8 euro ogni 30 giorni). Dopo un mese Vanessa è già tornata. Per tre giorni vede i genitori e le sorelle andare a lavoro e sente forte in lei la necessità di darsi da fare, così torna sui suoi passi e rimane lì altri sei mesi, cambiando la sua vita.

KINDERMANN, FEMALE FUTSAL E NAZIONALE Il Governador Valadares diventa l’outsider che si aggiudica la Taça Brasil U17, lei vince la palma di capocannoniere e – come se non bastasse – viene eletta tra le 5 migliori atlete dell’intera manifestazione. Ma, sul più bello, il ginocchio sinistro inizia a dare problemi: a causa di una diagnosi sbagliata gioca il Campeonato Mineiro con il crociato rotto e, una settimana dopo, quando inizia il Brasileiro, crolla. E’ in questo periodo che passa alla Kindermann. Con il presidente parla chiaro: non gioca da 3 mesi, sente che qualcosa non va, ha urgente bisogno di operarsi. Le visite specialistiche che seguiranno le danno ragione: rottura del crociato, del menisco mediale e del collaterale mediale. L’intervento al quale si sottopone grazie alla Kindermann è innovativo e riesce perfettamente. In breve tempo si riprende e torna ad incantare in prima squadra in Liga Nacional. L’anno successivo, siamo nel 2008, passa a la Female Futsal, squadra alla quale rimarrà legata per 8 stagioni (ad eccezione di una breve parentesi di 6 mesi al Burela nel 2011). Qui Vanessa va oltre ogni tipo di etichetta: rivelazione, promessa, conferma, fuoriclasse assoluta. Le sue giocate le valgono anche la convocazione in Nazionale, ma a causa di una questione legale (ampiamente vinta) contro la Kindermann, deve posticipare il suo esordio in verdeoro dal 2008 al 2010. Ed è qui che inizia un’altra storia: quella della miglior giocatrice del mondo (per due volte riconosciute) che ha fatto della sua passione un mestiere, dal quale ha ricavato una soddisfazione dietro l’altra. Dei tre momenti più belli che le chiedo di elencarmi, due sono riferiti alla famiglia, radici che sente vicinissime anche a migliaia di chilometri di distanza.

RICORDI MAGICI “Il primo è legato al giorno in cui ho detto a mio padre che sarei tornata a casa soltanto se fossi riuscita ad avere una maglia della Nazionale da regalargli. Ha pianto tantissimo. Ora è diventato più sensibile, è più facile che accada. Ma prima… – sorride -. Dio mi ha indicato la via, ma lui mi ha dato tantissimo: fino a 16 anni pagavo per giocare, in più le mie scarpette costavano tanto e duravano un mese. Lavorava anche fino a mezzanotte per farmi giocare, perciò è stato un momento bellissimo. Il secondo è stato quando ho vinto il primo Mondiale (che proprio in questo mese compie 10 anni, n.d.c.) e il terzo quando sono riuscita a regalare la ristrutturazione della casa ai miei genitori ed in particolare a mia madre: quando avevo 14 anni mio padre è riuscito a comprarne una, ma la cucina era molto piccola e mia madre fece cadere una pentola, muovendosi tra i fornelli. Quel giorno ho pensato che avrei voluto comprarle una cucina grande, poi ho deciso di far ristrutturare tutto. Adesso c’è anche un campo da futsal per me e i miei due nipoti: uno è un centrale di rottura, ma se l’altro non diventa un fuoriclasse, vuol dire che non ho mai capito nulla di calcio a 5…”.

Vanessa Pereira

NUOVO CAPITOLO IN ITALIA E’ nel 2015 che Vanessa si separa dai suoi affetti per venire in Italia. Due anni al Sinnai, metà al Pescara (fallito a stagione in corso), poi il breve passaggio al Roldan, prima di scegliere la Ternana. Ed ecco, per la seconda volta, la persona che non mi sarei aspettata.
“Lasciare in quel modo il Roldan è stato lo sbaglio peggiore della mia vita, non riesco ancora a perdonarmi. Vorrei tornare indietro e fare tutto nel modo giusto, ma mi sono comportata male e non ci sono scuse. Riconosco di aver sbagliato tanto nella mia vita, sia dal punto di vista professionale che umano. Quando ho visto che certe situazioni si ripetevano, ho messo una mano sulla coscienza, mi sono pentita e ho scelto di cambiare lavorando a distanza con Manuela, una terapeuta brasiliana, che mi sta aiutando a lasciare indietro i pensieri negativi. Perché sbagliavo? A volte pensavo di essere furba, ma poi ho capito quali siano le cose che contano davvero”.
L’immensa fragilità nascosta dietro la campionessa che non ha mai mostrato timore o stanchezza. Prima di questa chiamata tra noi, avevo in testa un’immagine che adesso faccio fatica a ricomporre. C’è la donna prima della giocatrice, quella che – come capita a volte ad ognuna di noi – trova il coraggio di riconoscere i propri errori e di pagarne le conseguenze. Dopo il colpo di testa spagnolo, c’è la Ternana. “Mesi belli e brutti. Ho conosciuto persone meravigliose che volevano che restassi, come la famiglia dell’assessore Proietti. Ma poi ho cambiato”. E dice sì alla Lazio.

VANESSA AL PALAGEMS In biancoceleste arriva una Vanessa sotto pressione dai mesi precedenti e i primi momenti con Chilelli non sono idilliaci. “Ad un certo punto, era dicembre, gli ho detto che me ne sarei andata. Da lì è partito un lungo confronto e da gennaio il nostro rapporto si è completamente trasformato: di sicuro rimane un rompiscatole – scherza – ma sono riuscita vedere il cuore, tantissimo cuore, che mette in tutto ciò che fa”. La conferma per il secondo anno consecutivo è venuta da sè. “Non tanto per quello che ha fatto per me quando il campionato era fermo, ma soprattutto per le sue parole. In questa stagione – continua la numero 77 – siamo partite sull’altalena, ma ciò non toglie che abbiamo giocatrici con una qualità incredibile: col Montesilvano non ha funzionato qualcosa a livello mentale, con lo Statte abbiamo cercato di fare qualcosa in più ma – un po’ la sfortuna, un po’ Margarito – non ci siamo riuscite, col Cagliari – invece – abbiamo rimesso la testa a posto”.
Torna Vanessa e la Lazio torna a volare, due condizioni che sembrano andare a braccetto.
“Io non credo di essere determinante per la Lazio, ma credo di essere un punto di riferimento, anche a livello psicologico: qualcuna ha un atteggiamento diverso, se sono in campo. Riuscire a dare forza alla tua squadra è qualcosa di bello”.
Ora il Granzette per confermarsi sulla linea della continuità.
“Loro hanno perso due giocatrici fondamentali, sul piano fisico sarà comunque dura e ci sarà da gestire palla se si chiuderanno dietro, ma sarei ipocrita se non dicessi che possiamo e dobbiamo vincere, sia per il prosieguo del campionato che per la nostra crescita. L’amaro in bocca del Montesilvano si fa ancora sentire, dobbiamo alimentare la nostra consapevolezza con un po’ di punti”. E tenere alla larga una concorrenza agguerrita. “Montesilvano in primis, ma credo che nei playoff possiamo metterci tra Falconara e Kick Off e provare a dare il massimo. In Coppa, poi, si tratta di partite secche e secondo me possiamo avere buone chance, considerata la buona sorte della Lazio in questa competizione. Comunque vada, sono contenta di essere in un club forte, simbolo di una città intera. E poi, dietro quella maglia, c’è il mio nome: ovunque si vada, voglio fare bella figura”.
E anche adesso che quel nome lo conoscono tutti, Vanessa non dimentica la strada percorsa da quel campetto di Patos de Minas, fino a qui.
“Se potessi dare un consiglio ad una ragazzina che si avvicina a questo sport, io le direi di avere cura di sé: ora ci sono più squadre e più possibilità, ma la qualità si è alzata tanto e serve il massimo sforzo per emergere. Io ho iniziato tardi a curarmi del mio corpo, della mia testa e delle persone di cui mi sono circondata, oggi – però – gioco con più serenità, consapevole che questo sia il mio momento e non so cosa accadrà domani. Quando vedo qualcuno che si arrende, io reagisco con ancora più forza, ma ho imparato anche che vincere non è tutto. A volte le sconfitte ti insegnano qualcosa di più, ecco perché non sono più quella che dopo un ko non parla per due giorni con i propri genitori”.
Non so bene il motivo, ma ho come l’impressione che voglia correggere il tiro.
“O meglio… ci parlo, ma di altro”, aggiunge con una risata che la dice lunga.

Questa intervista è andata verso direzioni inaspettate. Ogni volta che lo abbia voluto, Vanessa mi ha preso un metro e ha calciato forte dritto alla bocca dello stomaco. Con quel mancino che di solito è telecomandato sotto l’incrocio.

Saluto così una campionessa che conoscevo da tempo, ma è soprattutto una donna che conosco soltanto oggi per la prima volta. Forse, adesso, la conoscete meglio anche voi.

 

 

 

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