Futsal

Dal primo scudetto della Serie A alla Lazio: la storia di Valentina Siclari

valentina Siclari

Pochi minuti col Montesilvano e nulla più. La stagione di Valentina Siclari alla Lazio deve ancora decollare, ma purtroppo se ne riparlerà soltanto a gennaio, quando questo maledetto 2020 sarà finalmente archiviato così come un dolore al piede che la tiene ai box dal 13 di ottobre.
“La rabbia più grande è quella di essermi infortunata da sola, con un movimento sbagliato. All’inizio non si riusciva a capire cosa ci fosse per via dell’edema, l’ultima lastra, però, ha finalmente accertato che non c’è nulla di rotto e ho subito ripreso con esercizi di forza. Rischiare contro Kick Off e Capena sarebbe stato troppo rischioso, ma continuo ad allenarmi come posso, aspettando il 2021”.

QUASI 10 ANNI dalla prima storica Serie A, partita proprio nel 2011. Un’edizione sperimentale che avrebbe avuto poi diverse variazioni strutturali, ma che nessuno può dimenticare: la Pro Reggina batteva in gara -3 il favorito Statte e si cuciva sul petto il primo Scudetto della nuova storia del futsal femminile. E a decidere la gara del PalaCurtivecchi, era stata proprio lei: quel folletto in maglia amaranto che con una zampata allo scadere aveva regalato un sogno ad un’intera regione.
“Mi ricordo che esordimmo a Pescara: sull’autobus ci chiedevamo quanti gol avremmo preso e, invece, vincemmo 4-3. Venivamo dal regionale di calcio a 11, gli ultimi due mesi ci dedicavamo al calcio a 5 e poi arrivavamo alle fasi nazionali. In realtà non avevamo idea di cosa significasse questo sport. Stoppavamo la palla con la suola, vabbè che per Pamela (Presto, n.d.c.) è ancora così – scherza Valentina – ma era proprio un altro sport, infatti l’anno successivo si parlava già di un altro livello. Comunque, tutto avrei potuto immaginare, tranne che sarebbe andata com’è andata. Iniziammo a crederci un po’ alla volta: prima il pareggio con lo Statte, poi il 7-2 esterno con la Lazio. Piano piano arrivavano risultati importanti, per arrivare poi a quella finale inaspettata: perdemmo la prima al Botteghelle e poi andammo a vincere due volte consecutive in casa dello Statte. Incredibile. Pensa che il 29 maggio festeggiamo ancora come se fosse accaduto ieri: abbiamo un gruppo su Whatsapp che ora si chiama Sissy (Maria Teresa Trovato Mazza, il portiere prematuramente scomparso lasciando un vuoto incolmabile in chi abbia avuto il piacere di conoscerla), ma lei nei nostri pensieri c’è sempre, non solo quando c’è da ricordare quel giorno meraviglioso. Di sicuro è stato il mio periodo più bello”.

E a renderlo indimenticabile è stato anche Enzo Tramontana, “un allenatore, un padre e una guida. Su di lui ti potrei raccontare di tutto. Una volta ci stavamo allenando sotto una pioggia torrenziale, lui non aveva voglia di tirare fuori l’attrezzatura per il solito lavoro del mercoledì e allora ci disse di immaginare il percorso. Proprio così, immaginarlo. E la cosa più assurda fu che noi l’assecondammo e iniziammo a saltare ostacoli che in realtà non c’erano… E poi quelle trasferte irripetibili: sapevi quando partivi, ma non sapevi se tornavi. Come quella volta che andammo a Terni dal sabato per la semifinale scudetto, ma si ruppe l’autobus e rimanemmo 19 ore per strada. Rido ancora, quando ci penso”.
(Dis)avventure di ogni tipo che cambiano la vita di Siclari, ma anche quelle di Presto e Violi.
“Non percepivamo alcun tipo di stipendio, i nostri genitori contribuivano alle spese societarie, eppure rimanemmo per difendere lo Scudetto. Ma l’anno dopo ancora, arrivò la chiamata di Piersigilli e decidemmo di lasciare casa. La figlia femmina che partiva. Mio padre piangeva, ma mi diceva di andare, che era giusto così. Se sono qui oggi è proprio grazie a loro: hanno dovuto combattere anche con il bisogno tipico di un genitore, quello di avere i figli vicino, ma mi vogliono talmente bene da avermi sempre lasciata completamente libera di inseguire i miei sogni”.

DA REGGIO CALABRIA A ROMA, dove la realtà è bella e dura allo stesso tempo.
“Il gruppo era stupendo e quella è stata una delle squadre più forti di sempre: Cely, Lù, Blanco, le americane Melissa e Brenda Cary, Giustiniani in porta. Eravamo “illegali”, ma – continua Valentina – c’era anche da considerare che stavano cambiando tante cose: quando mister Calabria mi parlava di zona io non sapevo neanche cosa fosse – sorride – e il minutaggio era sicuramente inferiore. Con Tramontana dovevo sedermi da sola quando non avevo più fiato, una volta le ho lasciate in tre di movimento perché se fosse stato per lui non mi avrebbe mai sostituita. I tempi erano cambiati, non era più solo divertimento: si era alzata di molto la qualità con l’arrivo di tante straniere, il livello di interesse delle persone verso la disciplina era aumentato e c’era anche un altro tipo di visibilità”.
Quello che non è cambiato, però, è la fame di Siclari che nel cosiddetto triennio dei record si porta a casa un altro Scudetto, un’altra Supercoppa e una Coppa Italia, oltre alla convocazione per la famosa Notte Magica.
“So che lo diciamo tutte, ma la maglia azzurra è davvero il sogno di ogni bambina. Ascoltare l’inno al Foro Olimpico è stato da svenire, in quel momento nasceva la Nazionale e io c’ero”.
Ma il più colpito dall’evento è papà Domenico.
“Lui ha un chiosco di frutta in cui spicca una mia gigantografia. Io mi vergogno da morire, invece lui è orgogliosissimo. Non gli interessa quanta frutta vende, è felice se può parlare di me. Questa cosa è ancora più strana se penso che a me, invece, non riesce a dire più di due parole senza scoppiare a piangere. Quando siamo lontani, mia mamma traduce le sue lacrime in messaggi. Siamo due introversi, ma – anche se non ce lo diciamo mai – siamo legatissimi”.

Valentina Siclari

ECCO LA LAZIO Nel 2016, le strade del trio reggino si dividono: Presto va a Terni, Violi allo Statte e Valentina rimane a Roma, sponda Olimpus, squadra con la quale metterà in bacheca altri due titoli italiani: il tricolore (il terzo della sua carriera) e la seconda Supercoppa. Dopo la breve e non felice esperienza di Pescara, club sparito in corso d’opera, ecco un’altra stagione da protagonista alla Salinis di Bellarte: ma per quanto il finale sia bello, con la vittoria del quarto tricolore a Chieti, le rosanero non riusciranno poi ad iscriversi.
“Da un fallimento ad un successo e poi un altro fallimento, prima di un altro successo”, stigmatizza lei. Ed è così che – insieme all’inseparabile Pepita, uno Yorkshire di 5 anni – arriva alla Lazio.
“Devo dire che Chilelli è un mister che mi ha sempre cercata in questi anni, la rosa non era affatto male e io avevo tanta voglia di continuare a giocare, nonostante la difficile situazione che ci circonda. Mi spiace non aver potuto dare il mio contributo fino ad oggi, non sono mai arrivata a dicembre senza segnare un gol, ma non sono un pivot che vive per questo: ad una rete sul secondo palo, preferisco di gran lunga un assist o una mano concreta in campo ad una compagna. Poi è normale che anche il mio nome sul tabellino alimenti l’autostima, ma vale per tutto: se mi riesce subito un dribbling, stai pur certa che ne provo altri. Questo è proprio il mio carattere: più le cose vanno bene e più mi esalto, al contrario, se inizio ad andare male, rischio di buttarmi giù, perché tendo a tenere tutto dentro”.

Anche l’ansia del rientro è in quel luogo dell’anima dove immagazzina le emozioni, ma Valentina cerca di tenerla a bada analizzando con ironia il prossimo match col Kick Off.
“L’importante è non prenderne 7 nel primo tempo – ride – tutto il resto saremo in grado di affrontarlo. Scherzi a parte, sarà una gara complicata contro una delle squadre più organizzate: credo che Vanin, al pari di Taty, sia la più giocatrice più forte in questo momento, e ora che si è ripresa fisicamente trascinerà le sue, un po’ come succede con Vanessa da noi. Forse, rispetto a noi, sono un po’ più complete, ma ci stiamo allenando bene e confido in una grande prestazione”.

VERSO IL RIENTRO Sul piano personale, invece, la speranza è quella di rientrare in campo per la prima di ritorno col Pelletterie.
“Vorrei poter aiutare la Lazio a togliersi qualche soddisfazione e mi auguro anche che il Covid non condizioni più con tanta pericolosità tutti gli aspetti della nostra vita: noi giocatrici stiamo sempre attente, casa-palazzetto, palazzetto-casa per paura di eventuali contagi che possano ripercuotersi sulle famiglie e sul corretto proseguimento del campionato. E poi – aggiunge abbassando un po’ la voce – sogno un ingresso in campo con mio nipote, che nascerà a febbraio: si chiamerà Domenico, come papà. Immagino da adesso quanti pianti si farà quel giorno”, sorride.

PAMELA La ragazza che non ama parlare è già da un’ora sotto torchio. Mi tocca lasciarla andare, ma non senza averle chiesto se pensa mai ad una possibile reunion con Presto, in un futuro lontano.
“Più che come giocatrici, ci vedo nella stessa società: lei mister e io preparatrice atletica, cane e gatto che discutono in calabrese ma alla fine non si separano mai. La cosa più carina che mi abbia mai detto in campo è stata “ma che razza di passaggio hai fatto?” e in 10 anni non ci siamo mai abbracciate, ma lei è la sorella che non ho mai avuto”.
Pausa.
“Si può tagliare questa?”, mi chiede ridendo, prima di aprirsi completamente.
“Lei dice che sono la sua croce e che faccio solo danni, ma alla fine è la persona che mi porta a casa sempre sana e salva”.

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