Caffè Corretto

Se non vi considera nessuno è colpa vostra

Qualche giorno fa mi ha colpito il titolo di un articolo, comparso una testata locale. Ho deciso di leggere e poi approfondirne i contenuti, volevo riportare il sentito sfogo di un presidente all’interno di una riflessione più ampia.

In una città che ha visto il grande basket andare in scena per anni ad altissimo livello, non vi è dubbio che ci sia la possibilità di riuscire a stringersi intorno ad un progetto sportivo. Capace di catalizzare l’attenzione di una cittadina intorno ai suoi beniamini sportivi.
Una società, la Victoria Libertas Pesaro e il suo presidente storico Walter Scavolini per 38 anni hanno segnato una epoca indelebile nella città. L’arena da diecimila posti a sedere, è emblema dell’affetto del quale è capace una tifoseria come quella locale. Due scudetti, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe. Un palmares di tutto rispetto.
Le storie sportive vincenti, non si costruiscono in pochi anni, forse qualche eccezione è possibile ma hanno tutte la stessa caratteristica, durano del tempo, diventano emblema di uno sport e sono un pezzo di storia del territorio.

Come il Pescara di Giovanni Galeone, il Foggia di Zeman, due episodi sportivi collocati in un arco temporale con meno rumore di fondo ma certamente più attenzione alle storie di sport.
Tre anni fa a Pesaro, la realtà del calcio a cinque non esisteva al livello di competitività attuale, per l’esattezza questo gruppo di atleti che ora miete successi e il loro allenatore, si trovavano con indosso una maglia diversa in una città leggermente più a sud. Se quella società non fosse fallita piuttosto miseramente, probabilmente continuerebbe a mietere successi con indosso la casacca biancoazzurra.
Anche lì, sempre in riva all’Adriatico, il palazzetto era pieno, spesso stracolmo e c’era grande interesse per una società che disputava la “champions”,  le virgolette non sono necessarie, ma forse è più una questione d’abitudine. Insomma si trattava della Uefa Champions League del futsal, disputata con le medesime aspettative della compagine marchigiana.

In quella cittadina che conosco meglio, quella proprietà utilizzo il calcio a cinque con intelligenza imprenditoriale, collegò il marchio alla realtà del calcio a undici, più antica e radicata nel tessuto cittadino e riuscì a costruire una narrativa che regalava ai tifosi del calcio, agli orfani dei successi nella pallanuoto, una squadra vincente che indossava marchio e colori a loro familiari. Riuscirono anche ad alimentare una rivalità cittadina con l’altra squadra della città, uso impropriamente questo termine come estensione di un territorio geografico contiguo a diversi comuni che rendono le varie città un unico agglomerato urbano. Le sfide tra i due allenatori, tra le due squadra e tra le due filosofie imprenditoriali sono state la fortuna del futsal di quegli anni, hanno portato all’attenzione anche dei più disattenti tifosi l’esistenza del calcio a cinque.

Un successo rivelatosi poi effimero sportivamente, economicamente e socialmente. Probabilmente anche per questioni extra sportive. Racconta però che è possibile far emergere dall’anonimato questo sport e portarlo con fatica ed impegno ad una certa ribalta.
In città non si parlava d’altro.
Merito dei personaggi, di una certa intelligenza mediatica e di un contesto sociale assetato di sport.
L’eco di quel momento di grande vivacità sportiva, uno spettatore attento e smaliziato, lo poteva ritrovare anche nella scelta musicale di una finale scudetto. Grande assente la compagine biancoazzurra, in quel palazzetto risuonava il ritornello cantato da Vasco Rossi: “in quattro parole io sono ancora qua, eh già”.

Questi episodi restano confinati però all’interno della “echo chamber” che il futsal italiano si è costruito soprattutto su Facebook, insomma siamo sempre noi a parlarci addosso.
C’è bisogno di raccontare “perché c’importa” e meno di “clamorosi colpi” in Serie C.
Un calciomercato senza cifre, senza soldi, interessa davvero a nessuno, parlare di cifre resta un pubblico tabù nel calcio a 5 italico e per questo il lettore medio perde subito interesse, raccoglie le informazioni come Danny De Vito in L.A. Confidential, diventa tutto una questione di “hush hush”. Senza cifre è impossibile valutare l’efficacia di un ingaggio, la resa di quell’investimento.  Messi al City è un gran titolo, Messi al City per 700 milioni di euro è più efficace.

Perché? Mostra che il calcio è un business, nel quale è possibile investire cifre importanti, dimostra che è possibile creare valore.
Si continua con la menzogna che non ci siano I soldi nel calcio a 5 ma si favoleggia di cifre importanti spese alle pendici del Vesuvio, ma tutti “hush hush”.
Si può monetizzare la passione, si.
Non parlo certo ai proprietari di lavanderie più o meno a secco, quelle si pubblicizzano da sole con il passa parola. Rivolgo la mia riflessione a coloro che intendo chiedere ad un marchio di affiancarsi alla loro società per essere veicolo pubblicitario.
Perché un qualsiasi marchio dovrebbe coniugare il proprio nome ad una realtà sportiva, anche vincente e che fa la “champions”. Qual è il prodotto che vende questa squadra, l’emozione della vittoria e dell’evento come viene veicolato verso i tifosi e poi all’esterno nella comunità. Nel futsal è complesso anche solo progettare la vendita di maglie da gioco usate in partita, per i costi che molte società non sono nemmeno disposte ad investire, perché molti ritengono che siano oggetti superflui. Niente sciarpe, niente maglie e allora cosa mi resta, cosa porto via con me a casa che mi ricorda quella partita? Un biglietto, l’abbonamento per quella stagione? Basta, no. Decisamente.

Strutture sportive, problema endemico d’Italia, inadatte a contenere l’immagine professionale di un club a meno che voi ovviamente non pensiate che una tensostruttura  con due spalti in tubolari e lamiera possa essere teatro adatto ad ospitare le gesta di palloni d’oro e campioni del mondo e d’Europa.
Si può fare tanto ma si preferisce non fare nulla, per non sbagliare, per non esporsi a critiche.
Quella che s’approssima a grandi passi è una stagione che mi fa tornare alla mente il romanzo di Soriano “Triste, solitario y final”. Non ho voglia di arrendermi alla ineluttabilità dei luoghi comuni calcistici e ho cercato delle storie, ho passato questa estate a raccoglierne.
Spesso tuttavia non vengono nemmeno raccontate, chi dovrebbe farlo ha timore di urtare qualche sensibilità, di perdere qualche contratto e allora si naviga tranquilli nel mare dell’ovvietà e dei comunicati stampa tutti uguali.
In questo momento al futsal di Serie A, tanto maschile quanto femminile, mancano tutti gli elementi che lo rendono uno sport capace di intrattenere. Manca del tutto la critica, quella argomentata, seria ma se volete anche quella chiassosa che Biscardi ha reso famosa. L’interesse si crea anche attraverso la contrapposizione di idee, lo scambio di punti di vista.
Non sono certo che molti dei presidenti, addetti ai lavori, siano disposti a concedersi alla critica, sono dei dilettanti per antonomasia, probabilmente per il rimborso che percepiscono non sono disposti a subire questo tipo di pressioni.
Già e gli asini volano.

Non c’è nemmeno dello storytelling positivo, insomma il numero sette della nazionale argentina può circolare tranquillamente ignorato dai più, frequentare uno dei bar storici della città, di proprietà della moglie, senza essere mai importunato. Pensate davvero che se Mauro Icardi giocasse nel Pescara (di calcio a 11), riuscirebbe a fare più di dieci metri senza essere fermato da un tifoso?. Vi racconto di una città nella quale Guardiola viene in vacanza regolarmente perché non c’è eccessiva attenzione e nella quale ha vissuto e tuttora visita, il Maradona della pallanuoto, Manuel Estiarte.
Skysport 24 mi regala un paio di minuti di futsal, quindi lo sport di cui scrivo esiste anche per quelli nell’intervallo demografico del calcio, 35-50.
Negli ultimi anni il pubblico potenziale, quello più generalista, è invecchiato ulteriormente. Pensare che esistano due tipi di pubblico completamente dissonanti tra due discipline che in comune hanno lo scopo del gioco e l’attrezzo di gioco è quantomeno miope.
C’è bisogno di studiare, di leggere e d’assumere professionalità, non di quelle che vogliono sedersi dietro una scrivania ma di quelle disposte a critiche feroci per inseguire una idea, un obiettivo, una visione.
Non è impossibile trasformare il futsal in sport leggermente più rilevanti del Baseball.

Come?
Prendendo spunto dai migliori. Dal basket? Pallavolo o da quegli strampalati occhialuti che in 10 anni ha trasformato un gruppetto di ragazzi che giocavano in garage fumosi in un business da 1.2 miliardi di dollari, superiore a quello dell’intero comparto audiovisivo. Non erano nemmeno uno sport vero, ora vanno alle olimpiadi e in quella data è stimato superino come giro d’affari la NBA e la MLB messe insieme.
Tutto reale, con numeri, pubblicazioni, studi di marketing e “case study”.
Con sponsor veri e non aziende fornitrici di un marchio che cercano disperatamente un posto dove esporre il loro marchio.
Facciamo un favore a questo sport, smettiamola di considerarlo migliore di altri, propedeutico ad altri. Lo pensano tutti I praticanti di sport che non sono il calcio e che però “hush hush” sognano di aver quel giro d’affari e quella notorietà, ma senza l’ardimento imprenditoriale “del pallone”.
“Zitti Zitti”, vi dico una cosa: “non è possibile”. Non c’è bisogno di reinventare la ruota, solo di farla girare in una direzione.

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