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Mixer è morto – S01E13

La mia banda suona il rock torna, si è assentato come il campionato di calcio e scrivo su spazio dedicato agli eSport e alla comunicazione sportiva in generale.
Ciao Nicola, hai letto? La Microsoft ha annunciato la chiusura entro il 22 luglio 2020 della sua piattaforma di streaming. Quello che doveva essere il successore di Twitch, il mezzo per competere con Amazon nel mercato delle trasmissioni in diretta, chiude e comunica che dopo anni di investimenti a colpi di decine di milioni di dollari spesi per contratti in esclusiva con streamer come “Ninja” Blevins e nella “user experience”, alza bandiera bianca.
Una notizia che scuote non solo il mercato della comunicazione ma anche quello degli esport.
Mixer abbassa la serranda e libera tutti da loro contratto in esclusiva con la piattaforma, annuncia che alcuni dei suoi servizi confluiranno su Facebook Gaming.
Insomma un servizio morente confluisce in uno che offre la peggiore esperienza di visione possibile.
Non solo, Facebook Gaming non ha nemmeno in realtà il pubblico adatto, muovere un pubblico è una faccenda complessa soprattutto quando si chiede loro interagire con il prodotto in maniera più farraginosa e complessa.
Facebook è il social network dei boomer.

Forse è giunto anche il momento di spiegare il termine “boomer”.
Ci si riferisce con intento dispregiativo ai “boomer” come a coloro che cresciuti all’interno del famoso boom economico hanno risposte a tutti i problemi di oggi ignorando che sono stati loro a crearli. Sono quelli di “buongiornissimo kaffè”, quelli che pensano di aver svelato grandi complotti internazionali all’interno di un portale di una azienda private con sede nella Silicon Valley, che vende ii loro dati personali per la profilazione politica alla Cambridge Analytics ma loro non scaricano l’app Immuni perché non vogliono essere tracciati, ma ovviamente mandano in Cina la loro immagine perché hanno usato Faceapp per invecchiare o vedere come sono “donne”.
Non sono qui a chiacchierare con te Nicola, di questo oppure di allenatori che pensano di poter scrivere le peggiori nefandezze impuniti come ad esempio che Zanardi se l’è cercata ad andare in bici su quel trabiccolo.
Per quell’episodio ai tanti di misoginia e razzismo voglio dedicare del tempo.
Cosa c’entra questo con il futsal, tutto, letteralmente tutto.

Se Gskianto fa 1100 spettatori mentre russa e qualcuno paga per far suonare a caso la sua sveglia e le partite di Serie A Maschile di futsal hanno sul generoso contatore di FB 300 spettatori è chiaro che ci sono dei problemi.
Si, declinato al plurale.
Una delle chiavi di successo di un prodotto che si rivolge ad un pubblico, consiste nel presentarsi dove c’è il maggior numero di clienti potenziali disposti a pagare, anche con la semplice visione del programma in numero tale da rendere sostenibile la spesa di produzione.
Nel futsal i presidenti preferiscono solitamente spendere una cospicua cifra in aggiunta all’importo massimo del rimborso possibile per far giocare l’ennesimo ex grande giocatore in una tensostruttura, collezionare l’ennesimo trofeo di scarsa fattura tanto che si ossida facilmente e poi sparire nella notte perché è stanco di vincere.
Onanismo sportivo.
Parliamo a noi, di noi.
Ci impegniamo in imprese semplici, che non portano critiche e manteniamo la testa appena fuori dall’acqua e dovremmo confinare questi soggetti nella seconda bolgia dell’Inferno dantesco.
Facciamo il compitino, quello che non ci comporta noie, probabilmente non falliremo ma non avremo nemmeno successo, la mediocrità in fondo non ha mai creato reazioni d’invidia, il successo, quello sì che irrita i boomer.
Nel calcio a 5, i molti reduci dal calcetto ma non solo loro, pensano che il prodotto futsal abbia un valore, dimentichi che per essere trasmessi da alcune emittenti nazionali la precedente governance si è generosamente accollata le spese di produzione.
Non dimentico la pletora di appassionati convinti che la diretta sia un loro ancestrale diritto, una sorta di IUS Directa del quale usufruire gratuitamente. Inutile provare a spiegare loro che un prodotto offerto gratis: a) non ha un valore reale b) non è mai gratis.
Nicola hai visto una sola società, rinunciare al settimo straniero da mandare in tribuna, per ingaggiare qualcuno con abilità  di lettura elementari capace di comprendere il documento, che ormai due anni fa la UEFA ha messo a disposizione di tutte le società femminili (si applica anche alle compagini maschili) ?
No, eppure l’Arsenal Femminile, il Chelsea, il ManCity tutte e decine di altre in Spagna, Francia, Inghilterra e in alcuni casi in Italia l’hanno fatto e ora godono di un riscontro numerico su piattaforme digitali che permette loro di sostenere senza oneri aggiuntivi la struttura di comunicazione.
In Italia c’ha provato perfino il San Giminiano, davvero in Toscana esistono competenze uniche nella penisola?

Comunicare il calcio a 5 per troppi è prendere un comunicato stampa e trasformare il “abbiamo vinto” in “hanno vinto”.
Finita lì, una roba che un aggregatore di RSS faceva già dieci anni fa, si maledizione, dieci anni fa.
L’informazione è diventata intrattenimento, può non piacere ma non piacevano nemmeno gli mp3 ai puristi del vinile eppure oggi li pubblico vero è su Spotify.
Adattarsi o morire, innovare o invecchiare, tristi e soli.
Non c’è una seconda via, non c’è bisogno di reinventare la ruota, basta smettere di spingere la macchina della comunicazione del futsal italiano come fa Fred Flinstone con la sua automobile preistorica, con i piedi.
Usare la testa e osare.
Senza conoscenza non c’è innovazione.

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