Testa canuta, macchina fotografica agganciata attorno al collo e quell’inconfondibile sorrisetto che i baffi non riescono a nascondere. Paolo Cassella è il fotografo di oltre 40 anni di sport, dal calcio di fine anni ’70, alle più recenti (e importanti) competizioni di futsal, sia maschili che femminili. Originario di Cusano Mutri (provincia di Benevento), si trasferisce a Roma nel ’63, raggiungendo la sorella. Inizia a lavorare come barista, nel frattempo – siamo nel ’73 – diventa giornalista pubblicista e decide di dedicarsi a tempo pieno alla sua più grande passione: il racconto sportivo, dietro la lente di un obiettivo. Il primo incarico è come di operatore di ripresa nella gara Avellino-Roma. “2-2 e un sacco di botte tra le tifoserie”.
Con le immagini in movimento ci sa fare, tanto che entra subito in TeleRoma 56. Ma quel che più gli piace è fissare un istante per sempre con la sua Nikonmat, la prima delle sue 37 macchine. Numero aggiornato al 5 maggio. L’inquadratura va studiata in camera, la messa a fuoco è completamente manuale.
“Non come oggi, che il ruolo del fotografo vero e proprio non esiste più. Togli l’otturatore ed è fatta o, ancor più pratici, ci sono gli smartphone: scatti e mandi. Prima il percorso era diverso: selezionavi le foto, le stampavi e le portavi a mano nelle varie redazioni, cercando di venderle. Una decina di foto ad un quotidiano costavano più o meno 20.000 lire”.
La carriera di Paolo inizia a decollare allo Stadio Olimpico, un posto che lui chiama casa. Prende posizione a lato del campo e, quando la composizione è perfetta, dall’occhio l’impulso passa al dito indice, che schiaccia il pulsante di scatto. È lì che nasce una fotografia o – come direbbe Isabelle Allende – una storia che “rivela un luogo, un evento, uno stato d’animo” ed è “più potente di pagine e pagine scritte”.
“Una delle più belle risale al 1989, a Rio de Janeiro. Ero allo Stadio Maracanã, sono salito su, oltre l’ultimo anello e sotto di me c’erano 200.000 persone in attesa di Argentina-Uruguay”.
Questo è solo uno dei tanti viaggi che l’hanno portato in giro per il mondo. “Brasile, Colombia, Taiwan, e via dicendo. Ho seguito 5 Europei, 4 Mondiali e una Coppa dei campioni al seguito del Napoli nel calcio a 11 e tutti gli Europei di futsal dal 2001 in poi, partendo dalla Russia”.
Ma il contatto con il pallone a rimbalzo controllato c’è già stato molto prima.
“Ho cominciato nell’80 al Foro Italico, il boom è arrivato negli anni ’90 con le grandi finali con tutte squadre romane al Centralino: c’erano la Roma RCB di Bergamini e Tosoni, la BNL di Corrado Pani e i tre fratelli Roma, il Torrino di Menichelli e Rubei, Lamaro Roma di Angelini, Antonacci e Junior. Furono trasmesse per la prima volta su TeleMontecarlo, giravano pochi soldi”.
Il calcio, invece, è un’enorme industria che muove cifre inimmaginabili grazie al richiamo esercitato da idoli senza tempo come Maradona (molto caro a Cassella, tifoso del Napoli), Zico, Bebeto e Romario.
“Il grande Brasile e i pezzi da 90 li ho conosciuti tutti. A casa di Maradona ho anche realizzato un servizio fotografico, a quei tempi collaborano con il Guerin Sportivo, TV Sorrisi e Canzoni, La Gazzetta dello Sport, Il Messaggero, Radio Corriere TV e i più grandi quotidiani”.
Ma al di là delle soddisfazioni lavorative (con tanto di riconoscimento alla carriera sportiva, andato in onda al Tg2), quel che per Cassella ha avuto sempre più valore sono stati i rapporti umani instaurati tra una gara e l’altra.
“Dal campo sono nate amicizie che durano ancora oggi. Aldair, per esempio, mi scrive ogni mattina di stare a casa perché ha paura del Covid. Mi invia foto della sua famiglia e io rispondo con le sue foto da giocatore, per me è come un fratello. Se dai bene, torna del bene. Ricordo solo una delusione in tanti anni e mi è stata data dall’improvvisa interruzione del rapporto di collaborazione con la Divisione Calcio a 5”.
E’ solo un ciclo che si chiude, ma le sue fotografie sono ancora sotto gli occhi di tutti.
“I momenti più emozionanti da ritrarre sono gli abbracci, le esultanze. Ma non è detto che tutto vada come vorresti, a volte il gol capita dalla parte opposta rispetto a dove sei. Hai perso l’attimo. Tante volte ho anche rischiato, soprattutto nel calcio a 11, finendo nel bel mezzo di risse a fine gara. A quel punto non puoi far nulla se non stare riparato e cercare di proteggere l’attrezzatura, alcuni colleghi sono stati anche derubati e lì sono dolori perché un kit professionale costa 20-30-40000 euro. Se guardo indietro, penso che ne ho vissute tante e sono molto orgoglioso di tutto il mio percorso. La foto che avrei voluto scattare? Forse la benedizione di Papa Francesco nella piazza San Pietro deserta o Mattarella con la mascherina all’Altare della Patria durante la Festa del 25 aprile o magari Fontana di Trevi senza neanche un turista. Quelli sono momenti che rimarranno unici nella storia, tra tanti anni li rivedremo e penseremo che una cosa del genere non si era mai vista prima”.