La mia spada l’ho sempre tenuta in palestra, così come il resto dell’attrezzatura da Maestro e da atleta. Sono lì praticamente tutti i pomeriggi, è di fatto una seconda casa: non ha senso trasportare tutto avanti e indietro ogni giorno.
Quando è arrivato il lockdown, la mia spada è rimasta in palestra, così come il resto dell’attrezzatura. Sembra passata un’eternità, in realtà sono passati “solo” 51 giorni al momento in cui scrivo: la scherma in quarantena (ma anche la vita in quarantena, se è per questo) è qualcosa che non avrei saputo immaginare, nemmeno sforzandomi.
Passare da una routine consolidata a un potenzialmente infinito tempo sospeso è uno shock per tutti e se ti fermi a pensarci rischi di impazzire. Per chi poi dello sport, di qualunque sport, ha fatto la sua vita, il discorso è ancora più complicato. Il giorno prima sei in palestra, a prendere le misure (letteralmente in questo caso: ci scherzavamo sul fatto che il nostro sport, con armi lunghe 110 cm, fosse l’ideale per il distanziamento sociale) con le nuove norme necessarie per arginare la crescente epidemia. Gli atleti sono tutti bravissimi ad adattarsi alle novità, si rendono conto del pericolo e si comportano in maniera assennata, in particolare i bambini. Un po’ di preoccupazione c’è, è innegabile ma non ti aspetteresti mai che la situazione possa degenerare come invece è poi successo, per cui a fine allenamento chiudi la sala lasciando l’attrezzatura lì dov’è, convinta che l’indomani tornerai per continuare il tuo lavoro. O che, quantomeno, se le cose dovessero peggiorare, avrai sicuramente il tempo di tornare a recuperare l’essenziale per proseguire i tuoi allenamenti da casa.
E invece no.
Dal giorno alla notte, la vita di tutti è cambiata drasticamente. Ci sono tanti, troppi, che sono stati costretti a lottare per la vita e non tutti sono riusciti a vincere la partita. Ai più è andata decisamente meglio, ma anche chi non si è ammalato si è visto obbligato a mettere in pausa la propria quotidianità.
E così anche lo sport si è fermato e ancora non sappiamo se e come potrà tornare alla sua normalità.
La mia spada è rimasta in palestra, così come il resto dell’attrezzatura. La scherma, che per più anni di quanti riesca a contare è stata la mia routine quotidiana, ha dovuto reinventarsi una nuova normalità. Molti hanno potuto continuare ad allenarsi, seppure in forma ridotta, in casa grazie agli strumenti informatici che oggi ci permettono di vederci e comunicare anche a distanza.
Gli schermidori sono una grande squadra e lo stanno dimostrando anche in questa difficile situazione. Lezioni online sono la nuova normalità, sebbene non possano sostituire il confrontarsi dal vivo in uno sport che si basa sull’uno contro uno.
Anche chi, come me, non è stato abbastanza lungimirante (o fortunato) da riportare a casa la propria attrezzatura è possibile continuare a vivere scherma a casa: potenziamento fisico, gambe scherma in corridoio o sul balcone, esercizi per il polso, tutto è utile per mantenere un contatto con la propria passione.
E non solo, c’è tutta la parte virtuale, non meno importante. La Federazione Italiana Scherma è scesa in campo in prima persona per mantenere attiva e unita la comunità della scherma, in ogni parte del paese.
Per me non è stato possibile continuare gli allenamenti a casa, per una serie di circostanze. Ho comunque continuato a vivere scherma, a modo mio.
Mi sto dedicando alla formazione, seguendo corsi che mi stanno permettendo di imparare cose nuove e di arricchirmi, per affrontare ancora più preparata il ritorno alla normalità.
E poi c’è la radio.
All’inizio della pandemia il M° Alberto Bernacchi ha avuto un’idea semplice e geniale: una radio dedicata agli schermidori, su Facebook, così che tutti possano ascoltarla. Un modo per tenere vivo e unito il movimento schermistico da una parte all’altra della penisola. E così è nato il progetto NoStopFencing Live Radio, promosso dal Comitato Regionale Lombardia.
C’è tutto su NoStopFencing Live Radio: interviste ai campioni, rassegna stampa sul virus, proposte di allenamento fisico e mentale. Racconti di scherma: dei momenti imbarazzanti, delle prime esperienze, del punto di vista dei Maestri italiani, chiamati a sorpresa a telefono e invitati a dire la loro. C’è l’arte. E c’è il cinema. Alberto infatti ha voluto coinvolgermi in questo progetto, permettendomi di entrare in una affiatata squadra di innamorati della scherma provenienti da tutta Italia e di unire le mie due principali passioni, la scherma e il cinema. Due volte a settimana racconto un film a tutti gli schermidori che scelgono di connettersi ed ascoltare.
La mia scherma in quarantena passa dalla radio e dal cinema e trovo che non potrebbe esserci quadratura del cerchio più precisa. Un’opportunità di rendermi utile e mantenermi attiva anche da casa, pur in questo momento difficile, di cui sono profondamente grata.
Per ora, questo basta. Ma è impossibile non porsi domande sul dopo. La scherma, quella dal vivo, manca a tutti ed è impensabile riuscire a farne a meno.
Nel mio lavoro il contatto fisico è fondamentale. Può sembrare strano in uno sport individuale e per di più che si pratica con un’arma ma nell’insegnarlo è così, soprattutto con i più piccoli. In allenamento ma anche e soprattutto in gara.
Per un atleta è importante voltarsi a fondo pedana e vederti lì per lui, pronto a sostenerlo e incoraggiarlo ma c’è anche molto altro.
Un abbraccio, una contatto con la mano danno a volte l’incoraggiamento e la fiducia che sono necessari. Per un bambino che impara attività nuove, le mani del maestro pronte a sostenerlo quando si mette alla prova con quell’esercizio nuovo, che gli fa paura, sono parte integrante del processo di apprendimento. La stretta di mano a fine lezione è più di un gesto simbolico, trasmette quella sensazione che sì, sei stato bravo, stai davvero migliorando e che, espressa fisicamente in quel gesto apparentemente insignificante, ha una valenza maggiore del sentirselo solo dire a parole.
Lo sport è fatto per una buona metà di emozione e l’emozione è anche fisica.
Ci dovremo adattare all’inizio, ne siamo consapevoli. Ma ci crediamo fermamente che questo lungo assalto contro il virus lo vinceremo noi.
D’altronde, siamo spadisti: sappiamo attendere fino al momento migliore per lanciare la stoccata. Conosciamo l’importanza della scelta di tempo. E sappiamo che un assalto non è concluso fino a che la quindicesima stoccata non è stata assegnata.
