Attendiamo, confinati in cattività domestica.
Abbiamo tempo per riflettere.
Spesso al molto pensare non corrisponde una intensa attività, restiamo immobili a contemplare numeri, dichiarazioni, strampalate soluzioni, diamo voce anche all’insensatezza.
Sulle pagine di AGS (anygivensunday.it – ognimaledettadomenica.it) ci occupiamo di sport, di futsal che inevitabilmente prende possesso di gran parte della giornata e del feed delle notizie sui social.
In queste giornate lunghissime leggo di presidenti del futsal nazionale, intenzionati a portare a termine il campionato, che per il prossimo chiedono regole più stringenti, adducendo ragioni economiche e sportive. Regole che disattendono approfittando di quel lassismo istituzionale che ora invece additano.
Accodandosi, quasi pedissequamente, alle dichiarazioni del presidente della FIGC Gravina: “E’ un momento complesso per il nostro Paese, per l’economia e per il calcio che è una delle industrie più importanti. Con senso di responsabilità, disponibilità e buon senso, troveremo la giusta via. Chi invoca oggi l’annullamento della stagione non vuole bene né al calcio, né agli italiani togliendo la speranza di futuro e ripartenza. Su questo terrò duro fino alla fine”.
Con uno sforzo dialettico e di fantasia, provo ad immaginare questo scenario, necessario in una economia di sussistenza professionale, folle e demagogico nell’ottica dello sport dilettantistico.
Si riparte, tra mille difficoltà organizzative e gestionali, si termina con una qualche formula esoterica la stagione.
Vengono assegnati i titoli.
Campioni d’Italia, di una stagione falsata, di un campionato che non è quello che era in corso prima dello stop.
Una sorta di campionato “Clausura” che però assegna il titolo di quello di “Apertura” e nemmeno nella più sfrenata fantasia sudamericana sarebbe uno scenario plausibile.
Lo stop ha cambiato tutto, la preparazione atletica, gli infortuni, la condizione psicologica, la condizione meteorologica.
Verrà assegnato uno scudetto di cartone, di quelli che farà schifo festeggiare un po’ come la Coppa dei Campioni dell’Hysel, quella che rimarrà per sempre sporca di sangue. Se non vi vergognerete a festeggiare non siete meglio di quelli che pensavano che “calpestare” gli spalti con della gente seduta sopra fosse un passatempo normale.
C’è chi è disposto a disputare un campionato di “guerra” come quello del 1944, quello vinto dallo Spezia, ricordavate vero che lo Spezia Calcio ha un titolo onorifico per il campionato dell’Alta Italia? Un titolo come quello della Lazio e della Roma del campionato romano di guerra proprio negli stessi anni.
Lacerata e divisa, l’Italia, oggi come allora dal dolore e schiacciata dal peso degli interessi personali.
Per offrire una parvenza di normalità ad una condizione umana che non ha nulla di normale, per ribadire che andrà tutto bene anche se è andato tutto storto.
Uno scudetto come quello del Torino, quello della stagione 1948 – 1949, quel sei maggio il Torino venne proclamato Campione d’Italia per decisione della Federazione. Il Grande Torino era scomparso sulla collina di Superga solo due giorni prima. Nessuno aveva voglia di festeggiare quel titolo che quella squadra aveva meritato sul campo.
Abbiamo smarrito quella decenza e quella misericordia italiana che ci avevano aiutato ad uscire dalle macerie di quella guerra.
Febbre a 90°, uno dei romanzi e film più belli mai scritti sul calcio.
15 aprile 1989, giorno della Strage di Hillsborough.
“Sarah: È così stupido…così stupido…una partita di calcio…dovevano saperlo che prima o poi sarebbe successo.
Paul: Un pomeriggio nel settore Nord e sei già un’esperta.
Sarah: È finita, allora.
Paul: ‘Finita’ cosa?
Sarah: Beh, ora non andrai più allo stadio.
Paul: Certo che ci andrò.
Sarah: Ma come puoi farlo?
Paul: Perché…perché ci andranno tutti. Perché il campionato va avanti, rifaranno anche questa partita: quello che è successo non cambia niente.
Sarah: Io non credo di capirti.”
Morirono novantasei persone.
Il crollo di Leppings Lane.
Volevo disperatamente vedere Liverpool – Nottingham Forest semifinale di FA Cup, quattro anni dopo l’Hysel, ero a sole due ore di viaggio, non avevo i biglietti ma valeva la pena tentare, che rischio c’era avevano imparato no?
No, per una serie di criminali coincidenze.
Conservai i ritagli degli articoli di quella partita per molti anni a venire, una di quelle coincidenze mi aveva tenuto lontano da lì.
Si rigiocò anche quella partita, il sette maggio a Manchester, il Liverpool alzerà poi quella coppa sporca di sangue a Wembley contro l’Everton.
E’ cambiato tutto, il rapporto Taylor, il sangue, le birre si sono mischiate e i cuori di tutti sono cambiati per sempre.
L’Intercity Firm e gli altri gruppi di hooligans non troveranno più quartiere negli stadi e saranno costretti a rifugiarsi in campi di periferia e stazioni ferroviarie.
Se le industrie devono trovare il modo di ripartire e quella del calcio professionistico è indubbiamente tale, le passioni, quelle dovrebbero trovare il tempo e la decenza di fermarsi.
Riorganizzarsi, radunare le idee e ripartire senza calpestare le macerie sociali che hanno intorno.
Cercare di appuntarsi uno scudetto sulla maglia per questa stagione non è un motivo di vanto, d’orgoglio.
Rappresenta una macchia, una macchia di sangue sulla maglia. Manifesta l’incapacità di partecipare alle vicende che ci circondano con empatia, il trionfo dell’egomania.
Negano l’essenza stessa della partecipazione alla gioia per un traguardo sportivo, rescindono quel vincolo di fiducia tra chi siede sugli spali e chi scende in campo.
Da tifoso della Juventus non mi sono mai vergognato tanto come per quella Coppa dei Campioni, l’ho festeggiata ma l’onta dell’amarezza non si è mai dissipata.
Chi sceglie di terminare la stagione, salverà anche i suoi sponsor ma schiaccia per sempre quel sottile filo d’amore tra il tifoso e la sua squadra.
Si rigiocherà anche questa, ma non sarà mai più la stessa cosa e sarà colpa vostra.