“The Oscar goes to”, questa è la formula con la quale si annunciano gli Academy Awards e poi vince “Parasite” e penso che la realtà si supera ogni volta e come fa un titolo come quello del film coreano ad avere un riferimento al futsal italico? Se siete delle donne “anche intelligenti” potete trovare anche voi la connessione. La statuetta è un omino senza genitali, così lo chiamava Robin Williams, comico di fama internazionale morto suicida.
La depressione, il male nero e penso a Sara, non è un nome di fantasia ma quello di una donna che vuol essere forte anche se questo può essere il tempo delle lacrime. Le mamme e quelli che riescono ad averle, quelle che le perdono e quelli che si sono ritrovati un accidente e poi passano la vita a fuggire. Non fuggi mai davvero perché quel dolore lo porti dentro e non fuggi nemmeno se sei Lance Armostrong imbottito di farmaci dopanti con la scusa che appunto gli mancava almeno una parte dei suoi genitali.
Sara e la sua mamma, il suo cumulonembo di ricci, il vestito da sposa da imbottire al piano giusto e quel giorno in cui qualcosa finisce e qualcosa invece sta per iniziare.
“Parlare con te, fa sembrare che tutto questo non sia mai accaduto”.
Mia sorella ripeteva che le mie parole facevano girare il sole, come I girasoli, come il sole sul viso, come un tuffo in piscina come le fusa del gatto.
Il dolore non andrà mai via, le lacrime continueranno a cadere a caso e non sarai mai più bella di così, abbracciata ai tuoi sogni.
MI sento sciocco a scrivere di sport, di autogol veri e di gol fasulli, di una classifica marcatori inficiata da chi non riconosce una deviazione, da chi non legge una norma FIFA nemmeno se la stampano sulle bustine del plumcake oppure sul vademecum della Serie A, quella vera.
C’è l’arroganza di quelli che non studiano, di quelli che non è possibile che loro commettano un errore e a tutti gli altri invece restano i dubbi, le questioni da risolvere, le idee che nascono dall’incertezza.
C’è anche la correttezza di chi lavora, inevitabilmente sbaglia e si corregge, prontamente. Uomini e donne capaci di organizzare una Final Four, in una città che ha bisogno di far vedere all’Italia che non è racchiusa tra una acciaieria e ila sua base della marina militare.
Sono loro i volti che lontano dai riflettori muovono gli ingranaggi che regalano al pubblico un campionato dopo l’altro.
Gli altri, quelli capaci di parlare di F.A. Cup, citata a caso, come una finale di supercoppa organizzata in Cina, come una “chempionz” fasulla qualsiasi.
Spuntano gli assessori che hanno sogni fatti di calcetto e donne, mi chiedo come mai abbia dimenticato la birra gelata. Beata l’ignoranza dei sogni dell’assessore dai capelli bianchi, con il suo ciuffo alla Zazzaroni che immagina una realtà parallela che invece per me è una realtà di contemplazione e intrinseca tristezza. Donne di sport, belle, intrinsecamente belle e intrinsecamente e basta.
Mi manca “Fili”, perché non mi sono mai dispiaciuto tanto per una partenza, come se mia sorella fosse andata lontano e succede davvero. Lei dovrebbe essere cento volte il giocatore che è ma non ci crede abbastanza e vorrei credesse in lei almeno una frazione di quanto io credo in lei e già basterebbe.
Sotto la patina delle rovesciate, dei gol all’incrocio, dei doppi passi e delle “buste” c’è chi suona la stessa tarantella, in una piazza diversa dalla solita, una musica vecchia, buona per gli ubriachi che pisciano all’aperto fuori da un bar malfamato dove si riunisce la banda della Magliana.
Queste donne di sport meritano di più, perché la loro è una strada irta di ostacoli naturali, di ostacoli che loro stesse aggiungono e sono oppresse da questa cappa latente di maschilismo che le considera inferiori. Loro sono oggetto, di scambio, di sogni più o meno erotici, l’incubo dei parrucchieri e la gioia delle estetiste, almeno per alcune di loro.
Sette a uno, dieci a zero, otto a due, 71-10-82. Numeri buoni per le estrazioni del lotto e invece sono risultati della Serie A femminile, nessuno che si preoccupi della competitività di un campionato e quando poi la partita tra Kick Off – Salinis viene decisa sulla sirena a 4 secondi dalla fine in una partita da vedere e rivedere, il social match si disputa invece in un PalaRoma semivuoto, una partita di A2 mentre si registra un tasso d’umidità identico a quello che potete riscontrare in Belize.
Questo è davvero uno spettacolo che paghereste per vedere?
Può essere meglio di così?
Come?
In Cina dovremmo andare per imparare come si trasforma un non-sport in uno sport vero, che genera guadagni per tutti e non solo per i consulenti, i cantautori e i clienti del mcdonalds alle feste di compleanno.