Non l’avvertono nemmeno il freddo, corrono a maniche corte, si soffiano nelle mani per scaldarsi.
Il tetto sulla testa e muri intorno, sembra un palazzetto questo.
Hanno ancora tutti i sogni e il tempo per farne di nuovi.
Non temono la loro immagine e non conoscono la paura. Sono fieri e sorridenti, salutano con la manina. Non sono certo come i loro genitori che coprono di emoji e faccioni, i loro visi felici.
Giocano in quel limbo sportivo liberamente prigioniero tra la partita in cortile, il calcetto e il futsal.
Li guardo correre e alcuni sembrano sfiniti nell’istante prima di calciare, quasi spirando, quel pallone che si caccia in fondo al sacco. Gol e scatta quel miracolo di gioventù, tornano le forze e dai blocchi esplode al 4×100 olimpica.
C’è chi mostra il cuore verso gli spalti, riempito di quella voglia di essere grandi anche se poi devi farti aiutare dal mister per riuscire ad allacciare le scarpe.
Ti chiedo qui, Mamma che vuoi riprendere con il tuo smartphone del mesozoico, le imprese sportive del tuo pargolo. Dovevi passare giusto da questo cantuccio, davanti al mio di obiettivo?
Devo dirti grazie, nonostante quello che sei. Ricordi a me che l’evoluzione cerebrale e cognitiva, non è una costante all’interno della specie umana.
Torno ad osservare il campo.
Ci sono i numeri dall’uno dal dieci, senza cognome dietro perché tutti ti conoscono per nome.
Trovo anche un palazzetto nel quale smettere di indossare la tenuta artica.
Il parquet bicolore a tono con i colori dei seggiolini sugli spalti. C’è la tribuna stampa, le curve.
Già, le curve.
Una tifoseria non può stare in tribuna.
Ha bisogno di una Kop.
Di un luogo fisico dal quale la gioia possa attivare quel circolo virtuoso che la fa circolare dagli spalti al campo e dal campo agli spalti.
Pescara – Chieti
Il campanilismo. L’Italia paese di mille campanili, Don Camillo e Peppone.
Non sarà mai una partita qualunque, anche se ne sussurri il nome sotto voce.
C’è sempre quel bimbo che nonostante la categoria potrebbe essere arrivato al palazzetto in macchina.
2-2.
Sua la doppietta che festeggia sventolando la patente.
Alle sue prodezze risponde il bimbo con la maglia bianca e l’otto sulle spalle, le scarpe slacciate e l’andatura dinoccolata.
La mette all’incrocio, su punizione, d’esterno piede.
Come se fosse normale, come se fosse naturale.
Finisce 4-2.
Abbracci & Applausi.
Tutti poi a festeggiare di corsa sotto la “curva” quella dei genitori e dei parenti.
Life Below Zero.
Uno dei più riusciti docureality sulla vita in Alaska, potrebbero girarlo qui, esattamente dove sono seduto.
Per restare nell’ambiente sportivo questo è forse Lambeau Field, la casa sportiva dei Green Bay Packers. Chiamata poco amichevolmente dai tifosi avversari e dai tifosi di casa “The Frozen Tundra”. Le teste di formaggio della NFL si saranno confuse anche qui tra pecorini e caciotte, tra quelli che hanno la testa di formaggio o il formaggio nella testa. Il formaggio con la muffa, come quella sui muri che però non c’è, un po’ come l’acqua calda.
Bar Chiuso.
Mi distrae dalla questione climatica, la lotteria infinita dei rigori. Le battaglie sportive fratricide, quelle nelle quali non puoi esultare troppo che non sta bene.
Ludovica, le sue scarpe bianche e blu, perché può giocare come l’altra Ludovica anche non hanno un nome da calciatore. In fondo credo che ne esista uno.
La molla per i capelli, il rumore che fa il palo quando lo colpisci con il pallone. Il rumore della sconfitta anche quando non la meriti, proprio quando sbagli quei gol che non dovresti sbagliare, vero Federica?
Fischio Finale.
C’è chi bacia la coppa, chi alza la coppa e perfino chi la misura.
Carlo Ancelotti e il suo libro: “preferisco la coppa” anche quella da mangiare.
Questo è uno sport minore, come tanti altri.
Oggi ma soprattutto il domani, è soltanto e meravigliosamente loro.
Capaci di sorriderci anche se non ci conosciamo, che guardano curiosi ovunque e che s’avvicinano e ti danno una caramella: “a me non piace però puoi mangiarla tu”.
Capaci di scaldarmi anche se sento dannatamente freddo.