Tutto quel che mi ha travolto non mi ha ucciso in questo sport, a volte mi ha lasciato fermo, basito, in lacrime sul bivio delle mie domande, con la monetina in mano per decidere cosa fare e dove andare.
Il dolore quello fisico è niente in confronto a quello dell’anima, se hai una ferita sulla gamba puoi curarla con acqua ossigenata ed una garza, le ferite sul cuore non le raggiungi mai, sono cosi profonde, cosi nascoste che nemmeno scavando a due mani e rovesciandoci sopra un’ intera bottiglia di disinfettante riusciresti a lenirle, qualcuno a volte ci versa del buon vino, altri e ne conosco tanti una Tennent’s ghiacciata ma la contro indicazione è che questa cura dura poche ore, io spesso ci verso sopra canzoni , fotografie, parole ed un buon bicchiere di bianco e poi mi sbatto nelle riflessioni e mentre ascolto vedo i volti di una vita di panchine passarmi accanto.
Le manone di Lorenzo, i sorrisi di Marzia a metà tra il timido ed il divertito quando è di umore, i capelli legati raccolti, con la cipolla in testa, una cipolla per cui ho pianto tante volte, la cipolla di Chiara che probabilmente avrà pianto altrettanto per la cipolla della doccia che è sempre mezza occlusa.
L’elastico per i capelli di chi è, non me lo ricordo più, i dialetti sgrammaticati con i muri dello spogliatoio che hanno le orecchie e si piegano in due dalle risate, le bottiglie di shampoo mezze vuote dove la metà che manca è servita per qualche scherzo, i messaggi alle 2, alle 3 alle 4 di notte, le risposte e giù voragini immense di sentimenti, di rammarico e poi sempre la solita promessa, ci riproviamo, da capo come se niente fosse successo, è solo una sconfitta.
Ho vissuto un’ epoca fortunata, dove ogni conquista è stata un mattoncino per guardarmi indietro oggi e trovarci qualcosa di così tanto forte che se lo guardo mi viene la tachicardia.
All’inizio non avevamo quasi nulla, a volte nemmeno la via del campo su cui dovevamo andare a giocare, senza saperlo però avevamo tutto e non esisteva il rancore, allenarsi era tutto quel che volevamo, era il momento più atteso della giornata e ci guardavamo in 4 o 5 immersi nel freddo nella nebbia di dicembre ed era amore, si quello era amore per me, per loro, per noi e per quel che forse ancora non abbiamo finito di dirci ma che conosciamo benissimo.
Come altro lo potresti chiamare?
Forse miracolo, perché trovarsi a 0 gradi in mezzo ad un campo a coprire diagonali e cercare zone di luce per il passaggio giusto, insieme ad alcune donne puoi chiamarlo davvero miracolo se sei in una piccola provincia del Bel Paese nel 2005 e sei l’unica squadra femminile della tua città ed ogni volta che si avvicina qualcuno ride piuttosto che darti coraggio, ti guarda e dice ma chi ve lo fa fare?
E già quante volte ce lo siamo chiesti? Quante volte te lo sei chiesto anche tu che stai leggendo? Chi me lo fa fare?
Bisognerebbe interrogarsi sull’argomento ogni volta che si va al campo, gli allenatori, i dirigenti e pure le giocatrici e finché si trova una risposta significa che ancora non è arrivato il momento di smettere e non menarla più di tanto su quel che vorremmo, basterebbe apprezzare ciò che abbiamo che non è poco, è tutto.
Il primo giorno che da Mister sono sceso in uno spogliatoio ho provato quello che dovevo dire alla squadra per 3 giorni, era un discorso pieno di luoghi comuni e cose senza senso, quando è arrivato il momento di parlare ho aperto la valvola delle emozioni, le ho guardate tutte e gli ho detto perché ero li, cosa mi aspettavo da questa avventura e quanto fossi grato a tutte per avermi dato questa opportunità e vaffanculo a tutti i discorsi che avevo provato.
In quel momento l’empatia fu cosi forte, anche loro erano li per lo stesso motivo ed erano felici che ci fossi io con loro, qualcuno fece una fotografia ai nostri volti e ci incollò sopra la nostra anima, ci abbiamo provato a volte a fuggire da noi stessi, da quei visi giovani e pieni di speranza ma hanno sempre vinto loro, incollati dentro un’istantanea senza tempo ancora ci stiamo cercando, ancora a volte tentiamo di andarcene ma quell’empatia ci prende per la maglia e ci riporta dentro quello spogliatoio per ricordarci chi siamo.
Le mie nottate in bianco, non nel senso di candore, in bianco da non chiudere occhio e che erano il termometro di quanto ci tenevo a tutto questo, a tutto quello che ogni santissimo giorno mi faceva prendere in mano una lavagnetta, un esercizio, un pensiero e proiettarlo al centro del campo.
Ogni partita, ogni allenamento è stato la costruzione di qualcosa di più grande di me, la costruzione dell’uomo che oggi forse ancora non sono, la costruzione delle emozioni che mi porto in fondo all’anima, la costruzione di quel lago di lacrime in cui spesso sono affogato, in compagnia o da solo e poi ho alzato gli occhi al cielo e l’ho dedicato a qualcuno e poi ancora la corsa al centro del campo verso chi davvero è stato protagonista di tutto ciò, la corsa per abbracciarsi, sorridersi con gli occhi e guardarsi con il cuore.
La costruzione di una casa, termine abusato che vuol dire tutto e non vuol dire niente, la costruzione di una famiglia anche questo è un luogo comune, la costruzione di qualcosa che non avevo mai provato, eccolo quello che volevo dire e che mai nessuno potrà provare se non all’interno di un amore condiviso e comune.
Se fosse stato solo uno stupido pallone, senza emozioni, amore e condivisioni avrei buttato via 15 anni della mia vita, in Seria A o in serie Z.
Quando sei felice, quando sei triste, quando ti avanza qualcosa che sia una gioia o una delusione, quando non sai dove sbattere la testa non pensare mai solo a te stesso, ricordati di quella foto e di quelle promesse, del tuo viso giovane e dei discorsi che avevi provato e poi buttato, pensa a NOI che nessuno in questo mondo si è mai salvato da solo.
E invece no, tu vuoi canzoni emozionanti
Che ti acchiappano alla gola senza tanti complimenti
Canzoni come sberle in faccia per costringerti a pensare
Canzoni belle da restarci male
Quelle canzoni da cantare a squarciagola
Come se cinquemila voci diventassero una sola
Canzoni che ti amo ancora anche se è triste, anche se è dura
Canzoni contro la paura
Canzoni che ti salvano la vita
Che ti fanno dire “no, cazzo, non è ancora finita!”
Che ti danno la forza di ricominciare
Che ti tengono in piedi quando senti di crollare
Ma non ti sembra un miracolo
Che in mezzo a questo dolore
E tutto questo rumore
A volte basta una canzone
Anche una stupida canzone
A ricordarti chi sei.
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