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Meno è Meglio

meglio

Dicembre è, da sempre, un mese importante per il football americano in Italia.

Mentre le giovanili si avviano alla conclusione della loro stagione, “fervono” i preparativi per il nuovo anno e insieme alle (poche) informazioni, nascono le classiche polemiche.

Come succede ormai da qualche anno, ai nastri di partenza si vedono meno squadre, a prescindere dalla divisione d’appartenenza. Nel 2020, infatti, competeranno 9 squadre in Prima Divisione, 21 in seconda e 32 in terza, per un totale di 62 a fronte di un 2019 di 71.

Non mancano quindi le solite considerazioni: “il football sta calando, la qualità non ne parliamo e dove andremo a finire”.

Vero? Forse. Ma non definitivo. Perché? Presto detto.

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Il numero di team partecipanti a un campionato, da sempre, è un indicatore spuro dell’effettiva bontà del nostro sport. E, senza timore di smentita, se esistessero degli indicatori di performance (KPI) delle squadre nella sua interezza, forse le realtà esistenti sarebbero da considerarsi persino troppe.

Ma facciamo un passo indietro. Ogni team/azienda/associazione di persone necessita di queste caratteristiche per considerarsi tale:

Struttura, organizzazione e territorio: Ogni azienda ha una propria struttura organizzativa per coordinare regolare le funzioni e i processi interni, al fine di raggiungere un obiettivo finale.

Mezzi, intesi come Persone e beni materiali: Fanno parte di questa componente sia l’imprenditore, come persona fisica, e sia i lavoratori. Sono l’insieme dei fattori e dei beni materiali e immateriali impiegati durante il processo di produzione/erogazione del servizio.

Processo produttivo: È l’insieme delle operazioni compiute per realizzare il prodotto o il servizio.

Bene. Ragionate ora su quante delle squadre iscritte oggi ai campionati nazionali è in reale possesso di tutte queste caratteristiche. Si fa fatica a contarle in una mano.
Analizziamo i fattori punto per punto:

TERRITORIO

Per quanto concerne una squadra di football, il fattore territoriale è quanto più centrale. Non basta, infatti, porsi come unico team del circondario per acquisire giocatori. Il recente passato ha dimostrato che, a prescindere dai chilometri, la personas tipo viaggia senza alcun problema alla ricerca di struttura, percentuale di vittoria e, soprattutto, alla ricerca di una realtà che lo coinvolga e lo spinga a continuare a prepararsi quanto necessario.

Per questo, la moltiplicazione smisurata all’interno della stessa città è quasi sempre inutile, quando non risulta dannosa. Molto spesso, infatti, le nuove squadre non sono altro che un’emanazione di team esistenti, spesso popolate da backup (giocatori non titolari), vogliosi di scendere in campo.

Nonostante il diritto sia più che concepibile, considerata la natura amatoriale del nostro sport, gli stessi dovrebbero preoccuparsi del futuro che li attende all’interno di realtà che, come abbiamo visto, nascono e muoiono nel giro di un anno o poco più. Spesso imbottendosi di debiti, generando sconfitte a tavolino ed un certo senso di frustrazione a chi vorrebbe un football più credibile.

Per imporsi realmente a livello territoriale, è necessario impostare due strategie completamente diverse tra Senior e Junior. Il primo rivolto ad attrarre quanti più giocatori possibili dalle zone limitrofe, per creare quel seguito e quel ritorno di sponsor necessario ad alimentare ciò che è la reale linfa socio-economica-demografica di ogni squadra e del football in generale.

Non investire sulla categoria Under è il preludio al fallimento. E, ormai, le recenti unioni, fusioni, tentativi dovrebbero aver creato un background storico impossibile da smentire.

Quali sono i motivi per cui questo desiderio non è sempre esaudibile? Per la mancanza di struttura.

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STRUTTURA E MEZZI

Ecco, forse, il punto più difficoltoso da far recepire. Siamo nel 2019, in un periodo di scarsità di risorse economiche ed umane mai vissuto dal nostro sport, e non solo. Il fattore tempo è sempre più importante, così come i campi di applicazione che, se evitati, lasciano un forte senso di incompiuto mentre se gestiti “un tanto al chilo” producono l’effetto opposto al desiderato.

Non è più possibile, infatti, fare di tutto un po’ e male. Non è possibile gestire gli eventi fisici, il campo/campi, la presenza sui social, le iniziative benefiche, le attività per il pubblico, la gestione dei giocatori e la ricerca di nuovi talenti, senza arricchire il proprio parco dirigenti/staff.

Ne sono un esempio lampante i Seamen Milano. La forza principale del team di Marco Mutti risiede in un grande potere di delega ed una divisione dei compiti gestiti al millesimo. Una squadra di football è, infatti, molto più simile ad un’azienda di quanto sembri.

E la differenza è riscontrabile non solo nell’albo d’oro. Ma principalmente quando si chiudono i conti e si contano gli euro investiti, gli euro ritornati ed i giocatori cresciuti, coinvolti, prestati e ricevuti.

I Seamen andrebbero studiati, sovvenzionati, presi ad esempio, per creare una rete dirigenziale a livello nazionale tanto forte e misurabile, con obiettivi precisi a medio e lungo termine.

Il coinvolgimento di genitori, amici, parenti, appassionati a cui affidare un solo semplice incarico, che non impatti più di tanto nel tempo libero dei singoli, permetterebbe al Manager/presidente di fungere da controller per tutti gli ingranaggi della macchina, con la consapevolezza che se uno si inceppasse o dovesse essere sostituito, gli altri continuerebbero per la propria strada alla ricerca del più alto grado di eccellenza.

Perché questo sia fatto, è necessario che le dirigenze attuali smettano di vedere le squadre come il proprio playground, il proprio orticello. Inoltre, non tutti possono ricoprire quel ruolo. Non importa l’anzianità all’interno della propria realtà sportiva, ma sempre più fondamentale sono le soft e hard skill di un manager aziendale, in grado di stringere rapporti con partner/sponsor di livello e in capace nella valutazione delle persone “gerarchicamente sotto”, per garantire una crescita continua.

Detto in soldoni, non si può chiedere soltanto ai giocatori di alzare il proprio livello, allenandosi e sudando in campo e in palestra. Fino a quando le sorti dei club saranno alla mercé di dilettanti allo sbaraglio, i risultati saranno sempre mediocri.

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Foto Andi King

PROCESSO PRODUTTIVO

Questo è un punto tanto nebuloso, quanto interessante. Non esiste, di fatto, un vero vademecum di best practice per la fondazione e lo sviluppo di una squadra di Football Americano in Italia.

Non esistono neanche dei limiti o dei minimi termini per l’iscrizione a qualsiasi campionato nazionale. Le varie defiance, infatti, permettono anche a team neonati di acquisire i diritti per partecipare alla seconda divisione.

Questa mancanza di controllo preventivo, di dimostrazione reale di capacità, oltre ad uno start-up del tutto incontrollato e non valutato, comporta rischi enormi per la durata e l’affidabilità non solo futura, ma anche dei campionati dello stesso anno (caso Frogs, per fare un esempio).

Il desiderio di mostrare numeri importanti, che importanti non sono mai (rimaniamo di nicchia anche se da 90 squadre passiamo a 55), produce una perdita di focus sulla qualità del prodotto mostrato.

Sarebbe fondamentale quindi creare dei KPI, degli obiettivi intermedi, da raggiungere e dimostrare prima che i team possano effettivamente competere all’interno di un campionato strutturato. Il come è troppo lungo da spiegare in queste righe, ma una cosa è certa.

Il sistema attuale non funziona. A meno di non considerare i risultati ottenuti finora un qualcosa di accettabile.

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WHAT’S NEXT?

Il futuro non è roseo, ne tantomeno nero. E’ fermo, inchiodato ad una ciclicità che vede sempre le stesse realtà salire e scendere in una parabola che comunque non li vede mai fallire. Ciò che manca è aria fresca, nuova, che crei la base per il futuro.

Il tutto considerando che, alla fine del prossimo anno, dopo gli Europei (grande successo di giocatori e coach, e basta), si verificherà una probabile deforestazione lato players. E come una struttura in legno, il rischio di un crollo repentino è dietro l’angolo.

Solo, non dite di non essere stati avvertiti.

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