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La mia banda suona il rock S01E06

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Non è che ho saltato i miei appuntamenti settimanali con l’esport di proposito, sono successe genericamente “cose”, alcune più piacevoli altre meno piacevoli.
Sto ancora riorganizzando vita e tempo, quello per leggere, per scrivere, per giocare e per lavorare.
Già può sembrare strano ai “profeti del gratis” e “dello faccio per la visibilità” ma per me AGS è il lavoro principale, l’unica occupazione costante e ricorrente.
Avevo però continuato a conservare materiale, in queste due settimane e sebbene non ho idea se scrivere in questo momento sia efficace e efficiente ci provo ugualmente.
Raccontavo di questo strano mondo degli esport a Nicola, che può esistere realmente o essere un personaggio di fantasia, oppure ed è questa l’opzione che preferisco, essere un po’ tutti e due.
In una delle primissime storie ho raccontato di Dardoch, l’ormai ex giocatore di LoL nei Cloud 9.

Da allora Dardoch ha cambiato 13 squadre in quattro anni, dall’uscita del documentario Breaking Point.
Uno di quei giocatori con così tanto talento che non è possibile ignorare. Capace nel suo ruolo, quello di “jungler” di cambiare l’inerzia e gli equilibri di una squadra.
Nel bene e nel male.
Una parabola sportiva che sembra sempre in una fase discendente e invece finisce con il vederlo approdare in una delle squadre storiche del circuito, il Team SoloMid. Come se approdasse alla Honved negli anni trenta, oppure il Saint-Etienne nei roboanti anni 70.

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I SoloMid escono da una stagione disastrosa, la peggiore dalla fondazione della squadra. Dardoch può essere un semplice colpo di mercato che rinforza l’organico oppure il tentativo disperato di far tornare rilevante agli occhi dei tifosi e dei media una compagine che in due anni è riuscita a dilapidare un patrimonio tecnico e finanziario enorme. L’annuncio dell’acquisizione dei diritti sportivi di Dardoch è stato dato in pompa magna, conferenza stampa inclusa.
C’era molta attesa soprattutto per la collocazione tattica di Dardoch e del particolare stile di gioco imposto a quelli che giocano nel suo ruolo all’interno dei SoloMid.
Il talentuoso jungler e la sua meritata reputazione di giocatore tossico per l’ambiente di squadra, lo rendono ancora oggi quel genere di atleta che molti team non avvicinerebbero nemmeno disperati.
Alla prima domanda della conferenza stampa Dardoch non ha fatto nulla per dissipare i timori non sono di alcuni membri dell’organizzazione ma anche degli appassionati di LoL in generale.

D. “Come pensi di adattare il tuo gioco a quello così particolare per il tuo ruolo nei SoloMid”

“Penso che per un giocatore del mio talento non sia difficile adattarsi, tuttavia visto gli ultimi risultati del team penso che sia la squadra a doversi adattare al mio stile di gioco”.

Supermario Balotelli, nella sua reincarnazione occhialuta e americana.
Dardoch è il Mario Balotelli di League of Legends.
Capace con la sua classe di giocate incredibili e allo stesso modo capace di distruggere tutto quello che ha costruito con una singola frase, un singolo atteggiamento del tutto fuori contesto, assolutamente ingiustificabile.
I detrattori sono sempre altrettanto pronti a puntare il dito, a ripetere il mandra: “non cambierà mai, è sempre lo stesso”.
Ho tolto gli insulti, molti che di solito accompagnano la descrizione di Dardoch come giocatore.
Sette team in tre anni, dal suo debutto nella LCS (tipo la champions) nel 2016. Inutile nascondere una realtà innegabile, il ragazzo ha talento, forse più talento di chiunque altro nel circuito ma non può giocare, non con altri che non siano cloni di se stesso e non è detto che non sia capace di litigare anche con se stesso.

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Per il suo talento una delle maggiori organizzazioni al mondo gli concede l’ennesima occasione.
Come faccio a non pensare allo sconfinato talento sportivo di Josh Gordon, potenzialmente uno dei ricevitori più decisivi della National Football League. Sospeso per abuso di sostanze non dopanti 5 volte in sei anni di carriera da professionista.
Un talento alla Julio Jones ma che fuma troppa erba e non quella del suo giardino.
Jpsh Gordon è un atleta di un metro e 91, 102 chilogrammi di peso capace di correre i 40 metri in quattro secondi e quattro decimi. Uno che ha concluso la sua prima stagione con i Cleveland Brown, come se avesse giocato nel Lecce per spiegare, con più di 1000 yards ricevute e saltando ben cinque partite su quattordici. Non è un fenomeno perché lo sto scrivendo io, lo è perché quei numeri portano un atleta direttamente nella Hall of Fame.

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Dardoch è così, con tutto quel talento che probabilmente non è rimasto abbastanza materiale buono da mettere poi ad ingombrare lo spazio nella scatola cranica.
Josh Gordon però è un compagno di squadra esemplare, un signore dentro e fuori dal campo, debole o sensibile scegliete voi, troppo legato a quel ghetto dal quale puoi fuggire ma finisce che lo porti sempre dietro con te.
Una storia come quella di Josh mi fa sportivamente disprezzare Dardoch, voglio vedere fallire quest’ultimo perché il talento non è una giustificazione, non è un lasciapassare per comportarsi come il peggiore degli essere umani.
Be kind, siate gentili con le altre persone.

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