Ci sono quelli che gratis è meglio e non importa la qualità, salvo poi lamentarsi che qualcosa non è scritto bene, raccontato bene oppure semplicemente, non si vede bene.
Questo è il mondo in cui viviamo.
L’informazione è a portata di tutti, non è detto che tutti siano in grado di interpretarla.
Come quelli che credono che una serie di comunicati stampa sia un giornale, che uno sport si racconti annunciando che dopo l’ennesima scoppola in uno scontro diretto si possa ripartire dal prossimo successo, del quale sono assolutamente sicuri. Sarà perché giocano contro delle sedie disposte male.
Vorrei poter scrivere liberamente di quell’allenatore che è tutti davano con la valigia in mano già ad inizio stagione perché inviso alla vecchia guarda. Lo stesso per il quale si recitava alle sue spalle il de profundis ad ogni sconfitta. Invece se lo ritrovano lì, in testa alla classifica, senza nemmeno un effetto speciale, nemmeno ONE.
Uno sport nel quale i costi della comunicazione sono esclusivamente a carico della società sportive, farà sempre fatica. Arrancherà inevitabilmente in quel limbo tra lo storytelling e la marchetta.
Certo quelli che vivono di marchette, regolarmente messe a bilancio e sempre sotto il margine di sicurezza, non si preoccupano troppo della qualità, puntano sulla quantità. Come quella del numero di oriundi convocati in nazionale, ricordate la nazionale agli italiani? Quella, identica.
Il fine ultimo è vincere, altrimenti non avrebbe senso tenere il punteggio.
Quindi si convocano gli uomini migliori, con i documenti regolari per giocare dove sono nati i loro avi, è un problema trascurabile.
Mentiva allora chi vi diceva il contrario, mente oggi quando vi racconta che battere il Wakanda ci avvicina ad altri risultati prestigiosi.
Mentono quelli che vi raccontano che è possibile giocare bene e vincere. No, non lo è a meno che tu non abbia Xavi e Iniesta, quando non succede prendi 2 sberle in casa dal peggior ManUd degli ultimi 20 anni oppure perdi di misura dal signor credito e prestito e meta qualcosa.
La differenza la fanno gli uomini di qualità e quegli allenatori così intelligenti da non incasinare troppo le cose durante i time out.
Oggi è così questo caffè corretto, lo bevo con sospetto non vorrei qualcuno ci avesse messo dentro la cicuta.
Bevuto troppo presto, quando fa troppo freddo.
Ci sono quelli che hanno talento e quelli con abbastanza coraggio da dar fiducia a quel talento e abbastanza conoscenze da allenatore da sviluppare quel talento.
Ottieni così Joe Burrow, un ragazzo dell’Ohio meridionale, un posto in cui si fa fatica a mettere cibo in tavola, una zona degli Stati Uniti che è tra le più povere della Terra.
Crede al suo talento anche quando nessuno lo fa e per tre anni non lo fa giocare mai. “Scendi in terza divisione forse li ti fanno giocare”. Al quarto anno trova qualcuno che lo fa giocare, Ed Orgeron a LSU.
La Lousiana State University inizia a vincere e il ragazzo che guida il suo attacco regala all’università e al suo prestigioso programma di football americano il secondo trofeo Heismann della sua storia.
L’Heismann è come un pallone d’oro ma più importante. Il massimo riconoscimento sportivo per un giocatore di football americano al college.
Joe, l’average Joe, ringrazia tutti e nel suo discorso di ringraziamento si rivolte a quei ragazzi come lui, che crescendo hanno fame, di quella vera, quella che ti viene quando non c’è nulla da mettere sullo stomaco.
“Potete essere come me, voi siete come me, perché io sono come voi”.
"Can you imagine a guy like Coach O, giving me the keys to his football program. He just means so much to me and my family."
—–Joe Burrow was emotional during his Heisman Trophy speech pic.twitter.com/AyoqvIzQHK
— ESPN (@espn) December 15, 2019
Sandy Hook, 14 Dicembre 2012.
Due studenti armati di fucile semiautomatico XM-15 e Glock 20SF penetrano nel complesso scolastico della cittadina di Newtown, Connecticut. Uccidono 26 persone, venti delle quali tra i sei e i sette anni. Il massacro più grave nella storia degli Stati Uniti. Vi risparmio il dolore di quelle immagini e di quelli che dai microfoni dei media “alt-right” hanno provato perfino a sostenere che fosse una messa in scena.
Sette anni dopo, in quello stesso giorno, la Newtown HS vince il titolo dello stato di football americano, il primo dal 1992. Di questa gioia che si mischia al ricordi di chi allora c’era e fino a quella segnatura all’ultimo secondo era solo un sopravvissuto e finalmente quel peso si sente meno sulle spalle. Erano bambini insieme a quei 20 che non ci sono più, sono dovuti diventare uomini in fretta e ora hanno regalato ad una città una gioia che non guarisce una ferita così profonda ma squarcia il cielo e mostra il sole anche se è notte fonda tutt’intorno a loro.
WOW! Holy crap. Newtown wins the CLASSS LL title 13-7 over Darien I’m the final play Jack Street hits Riley Ward for 36-yard TD #cthsfb
Newtown’s first state title since 1992 pic.twitter.com/BfSMc0rNIy
— Pete Paguaga (@PetePaguaga) December 14, 2019
C’è chi vuol tornare a casa dalla nonna, novantasette anni. Pensa che sarebbe bello scendere in campo, segnare un gol e poi tornare a casa per Natale e sedersi accanto a lei e dirle che ha segnato un gol per lei, che non sta tanto bene e così sperare di strapparle ancora un sorriso.
Quel gol arriva e poi quando sali su quel pulmino che ti porta indietro alla tua casa sportiva scopri che la tua adorata nonna non c’è più. Mentre stavi facendo qualcosa che ami e stavi pensando a lei, lei è morta. Non potrai abbracciarla per l’ultima volta, ti assale quello sconforto ma i ricordi, quelli belli saranno sempre con te e ti scalderanno il cuore non appena il dolore avrà smesso di farlo battere così forte.
Tomislava, il mio abbraccio forte.