Caffè Corretto

Caffè Corretto S01E09

caffè corretto

Le storie, sono tutto quello che abbiamo.
Sono le componenti essenziali del nostro passato, che siano composte di fatti reali oppure di allegorie. Alle fine di solito le chiamiamo ricordi.
Le storie quelle che hanno sempre un tempo al futuro, che percorrono mille strade diverse, vivono in quello spazio ristretto tra la notte fonda e l’alba, ecco quelle si chiamano sogni.
Ci sono le parole non dette che pesano più di quelle che prendono forma, ci sono le assenze che pensano anche se si prova ad ignorarle.
C’è un tempo per tutto, limitato e prezioso.

Ricordate qualche tempo fa vi ho raccontato della Kinnick Wave, la tradizione di salutare verso lo University of Iowa Stead Family Children’s Hospital che si affaccia letteralmente su campo della squadra di football di Iowa State, gli Hawkeyes. Alla fine del primo quarto tutta la squadra e tutto lo stadio saluta verso quelle finestre a vetri piene di bimbi e di manine di gomma gialle che si agitano. Sabato anche la squadra ospite si è unita a quel saluto. Non è una squadra qualunque, tra le sue fila milita il 4 volte sopravvissuto al tumore, kicker 19enne Casey O’Brien.
Dopo solo quindici minuti di football erano già sotto di due cifre, potevano concentrarsi sulla prossima giocata e invece, eccoli tutti in campo a salutare quegli occhi dietro a quelle finestre lontane.

https://twitter.com/CFBONFOX/status/1195822818388107269

Nello sport le storie rincorrono i sogni, come quelle di Jelen Hurts.
Porta la sua squadra in finale. Inizia giocandola male, a metà tempo il suo allenatore decide di sostituirlo con un ragazzino, di grandi promesse che ha giocato pochino durante la stagione. Il ragazzino con un cognome impronunciabile sfodera il suo talento e porta a casa la finale. Alza il trofeo.
Hurts, resta ancora una stagione nella stessa squadra a far da riserva, perché  è convinto di avere abbastanza talento da riprendersi il posto.
Altra finale, il ragazzino dal cognome che è impossibile scrivere a memoria, s’infortuna, lui entra è vince ancora.
E’ tempo di lasciare però quella squadra, per dimostrare di essere il giocatore che lui sa di essere e che gli altri stentano a credere.
L’ambizione di essere il migliore, ecco quello che contraddistingue il giocatore normale dal campione. Certo ci sono anche i piedi o le mani a fare una certa differenza, ma l’ambizione è tutto quello che conta davvero.
Sabato Hurts dopo una prima frazione di gioco orrenda guida gli Oklahoma Sooner nel più grande “comeback” della storia lunga e gloriosa di quella squadra. Ecco di cosa sono fatti i sogni: di lacrime, di sangue, di resilienza e di ambizione.

Ci sono anche i sogni che vanno in pezzi e si frantumano, non restano poi che le lacrime a tenerli insieme ma non funzionano mai bene come collante.

Da questo palazzetto vicino al parco e all’ospedale osservo una bella partita, mi chiedo sempre perché in uno sport “professionistico” gli unici dilettanti siano gli arbitri. Perché questa categoria non può essere ritenuta responsabile, badate bene, responsabile di essere scarsa.
Come ripete Chiara, “se lasci decidere la partita all’arbitro vuol dire che stai giocando male”, verissimo. Però a volte l’arbitro è davvero scarso e per giunta protagonista.

Ci sono palazzetti gloriosi come quello del basket ad Avellino nel quale piove, letteralmente sul parquet, ma non qualche goccia, proprio da volerci una tinozza.

Ci sono donne, anche se hanno solo sedici anni, atlete che corrono con l’hijab nel civilissimo Ohio e vengono squalificate per questo anche se battono il record dello stato e sono probabilmente tra i migliori prospetti nazionali. Già siamo ancora fermi così, in un futuro medioevale pieno di vecchi rancorosi ancora al comando.

C’è una città in Belgio che bisogna visitare una volta nella vita, Bruges.
La capitale delle Fiandre. Con i suoi canali che avvolgono il centro storico e no, non è una piccola Venezia a meno di non voler considerare anche Amsterdam come se fosse una grande Venezia.
Ci sono i merletti, tantissimi merletti. Una vagonata di chiese e cattedrali e c’è il Club Brugge. Ora non mi dilungo sul fatto che questa città ha un nome per ogni lingua esistente in nelle immediate vicinanze.
Importante sapere però che per i colori nero azzurri, che preferisco accostare all’Atalanta piuttosto che all’altra squadra di Milano, in quella città letteralmente impazziscono.
Tra le tante curve che ho visitato in Belgio, quella del Brugge è al secondo posto, dopo quella dell’Antewerp, l’Anversa insomma.
Di recente i tifosi hanno deciso di onorare a sorpresa una delle leggende del club, un nome assolutamente dimenticabile fuori dai confini ristretti delle Fiandre.
Roul Lambert ha passato la sua intera carriera agonistica con lo stesso club. Trecento settantatré presenze e duecentosedici gol.
La sua gente l’ha abbracciato così per il suo compleanno, un regalo speciale.

Forse come dicono i credenti la riconoscenza non è di questo mondo, forse no e forse qualche volta le eccezioni confermano la regola. Un po’ di luoghi comuni, tanto ora arriva il Natale e gli “odiatori” delle feste sono qui pronti a lamentarsi con quelli che cercano quell’instante di felicità e spensieratezza.
Quella stessa spensieratezza che hai quando il tuo mister ti chiede se hai capito lo schema e tu annuisci poi mentre torni in campo confidi alla tua compagna di squadra: “io vado dove non c’è nessuno”.

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