Futsal

SuperCoppa 2019

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“Avete voglia di partire la mattina?”
“No”.

Questa è la risposta giusta, invece sbaglio sempre.
“Si”.

Così inizia questa lunga giornata di Supercoppa 2019, con le tappe per fare Metano, con una lunga strada sempre dritta, che passa per la regione che non c’è il Molise e arriva fino a Molfetta.
C’è il cane Poldo che non si può accoppiare con un cane maschio, vero Ilaria? Almeno non a scopo riproduttivo, così per chiarire una volta per tutte uno degli scambi via chat più esilaranti degli ultimi mesi.
Scorre l’asfalto, le storie, i progetti futuri, quelli passati e quelli che per un momento si sono fermati sul ciglio della strada.
Arriviamo che è ancora estate, quella vera che ti puoi mettere in spiaggia. C’è il mare, la stanchezza già alle 15, tanti visi che non riconosciamo e tanti sorrisi familiari.
Le dirette Instagram e il tipo che si ferma per farci i complimenti e nemmeno sappiamo chi sia.
Registro qualche video per Tik Tok. Ci sono poi i video improvvisati, quelli più strutturati e quelli che sono per domani, un domani spero non troppo lontano.
Arriva anche Samara che anche se ora non ha più i capelli tinti del colore giusto, sarà per sempre un racconto indimenticabile fatto di vomito, piastrelle, pioggia, doccia e gente che ti finisce addosso per caso in Spagna.
C’è anche quello che mi doveva vendere la xbox originale e invece l’ha venduta al suo amichetto mezz’ora prima di portarmela e spero che quei soldi gli servano per una pomata per le emorroidi alla quale è ovviamente allergico.
C’è Giovinazzo con il gatto color molo, il porto e la birra e le brutte notizie.

Federica che guarda il suo telefono incredula. Quando passi tanto tempo con qualcuno seduto nel banco vicino pensi di conoscerlo e invece no. I demoni, quelli che si nascondono tra le pieghe della mente e ti convincono che la tua vita può anche finire, sono un avversario temibile e terribile. Allora cadi in un pozzo profondo e nero dal quale non esci più.
Seguo un po’ il gatto per vedere se si lascia accarezzare forse non mi dovevo alterare con Jacopo e la sua Preparazione H ma la vita è così, tende a ricordarti che ci sono le cose importanti, come l’allergia alle pomate.

Il decklink della Blackmagic, le telecamere e l’atmosfera delle grandi occasioni.
Le camicia di mister Marcio Coelho appena uscita dalla confezione e la sua attenzione ai particolari.
Il suo sguardo che rimbalza sul campo tra le sue atlete, su tabellone per vedere quanto manca all’inizio della partita e verso la metà campo dove si scaldano le avversarie.
Le maglie con i numeri in serigrafia e quelli invece cuciti, il bordino color oro intorno allo scudetto che è il primo scudetto per la Salinis è anche un appunto alla memoria, vincere non è mai facile.
Consegnato finalmente il premio per il primo posto nella schedina a mister Iessi, ci abbiamo messo solo qualche mese ma poteva andare peggio. Com’è che recita l’adagio? “Andrà sempre peggio prima che vada meglio”, qualcosa del genere.

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In campo c’è Eder Popiolski, nessuno lo vede davvero perché è in Brasile, ma è anche qui in uno strano caso di bilocazione. Lo spettacolo che vediamo in campo è merito suo, la sua Chapeco è quella che vedete spezzettata sul campo con maglie diverse, perfino quella del Cagliari. Suo il merito di questa nidiata di campionesse vere, qualcuna al tramonto dei suoi anni migliori come sportiva, qualcuna invece che ha appena intravisto l’alba. Hanno lasciato Chapeco perché si era esaurito un ciclo tra i più vincenti. Merito suo e non di qualche millantatore nostrano che come spesso accade, s’attribuisce meriti non suoi.

La partita inizia e finalmente il possibile diventa probabile, tutto è nello stesso momento e nulla è nel medesimo istante. Come in un paradosso filosofico, in una partita puoi racchiudere una vita.
Se questo movimento volesse diventare davvero grande a raccontarlo ci sarebbero più persone interessate alle storie delle protagoniste e meno interessate al quintetto titolare, più professionisti preparati, meno occasionali amici di qualcuno.
Un giorno spero, si potrà scrivere un commento tecnico equilibrato, non realizzato da me ovviamente, dopo il quale nessun parente offeso si senta in dovere di commentare. Per il quale nessuna giocatrice si senta offesa personalmente, ma venga percepito per quello che è, un’educata porzione della realtà filtrata dagli occhi di chi scrive.
Fino ad allora vi dovete accontentare dei miei di racconti.

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Di quel primo duello con una maglia diversa, di quel saluto perché è dovuto ma non voluto e di quel contrasto che l’affondi perché in fondo le sta bene. Di chi esulta e di chi è scuro in viso, di chi avrebbe giocato ma non l’ha fatto e alla fine chiedere se è “rotta” mi sembra anche doveroso. Federica apre bustine di integratori, mentre maneggia anche due reflex.
Osservo la “commare” che finalmente gioca un po’ più dello scorso anno e si agita in panchina ma non tantissimo. C’è chi gioca una partita di rara intensità e abilità tecnica e non è che capiti spessissimo e invece dovrebbe e se non accade è il caso ogni tanto di chiedersi perché, come diceva mio padre “se qualcosa accade c’è una ragione, basta indagarla”.

Ci sono quegli sguardi che mancano in panchina e quelli invece che riconosci, cerco di osservare gli occhi nuovi in campo e fuori.
C’è chi vince senza sudare e se ne rammarica e chi da una vita si vanta di aver vinto titoli per i quali non ha mai sudato.
C’è chi si chiede dove ha sbagliato e chi invece non s’interroga mai.
In campo si materializza chi “spacca cose” tipo pali e traverse e all’improvviso la vedo diventare capitano, vero. Di quelli che s’avvicinano a te per una parola, un consiglio o anche solo un abbraccio. Ditemi voi come non si fa ad amare un capitano così, sempre meglio di quelli che mi vogliono insegnare la vita, urlano ma alla fine non capiscono nemmeno d’aver ancora le scarpe allacciate al contrario.

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C’è chi è arrivato da Capo Nord e quindi quei 500 chilometri in più cosa vuoi che siamo, di queste storie ha bisogno questo sport, ma forse ogni sport perfino il calcio. Ricordate “Zero Euro”, il tentativo di raggiungere la finale di Champions League, quella vera, a Madrid in autostop di due giornalisti Sky, un viaggio senza spendere appunto nemmeno un euro. Eccola lì l’idea, gratis, basta copiare ma da quelli bravi e poi alla fine non è copiare ma è “citare”.
Ci sono le televendite, i podologi e finalmente un cannone spara coriandoli come si deve, sotto una pioggia tricolore qualcuno alza la coppa e qualcuno si chiede ancora perché non l’ha alzata e quella domanda ricorrerà spesso nelle settimane a venire.
C’è chi sparisce senza salutare, chi saluta senza sparire.

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Riprendiamo la Panda e andiamo in direzione nord, con chi ha imparato l’inno nazionale del paese che la ospita per poterlo cantare ad alta voce e ci aiuta a casa nostra.
Scrivo qualche appunto, leggo un libro e mangio il solito cibo da autogrill.
Sono quasi le due del mattino, è il mio turno alla guida.
La solitudine dell’autostrada, la “signora dell’autostrada”, i racconti di William Gibson, le luci che scorrono e a casa ci aspettano i “micetti rotti”.
Qualcuno chiama per chiedere dove sei, altri chiamano per controllare dove sei.
Il cicalino del casello, anche questa volta siamo a casa.
Miao e bentornati.
Quasi dimenticavo una cosa, ha vinto la Kick Off 5 a 3.

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