Scherma

Intervista a Nathalie Moellhausen: sul tetto del mondo nella Spada Femminile

Nathalie Moellhausen

I sogni, se ci credi abbastanza, si realizzano, anche quelli più ambiziosi. Anche il sogno di diventare Campionessa Mondiale nello sport che è la tua vita, a 34 anni, in una gara in cui non partivi certo favorita.
Nathalie Moellhausen quel sogno lo ha realizzato a Budapest, durante gli ultimi Mondiali di scherma che, non a caso, si erano svolti sotto l’evocativo slogan “It’s a kind of magic“.

E di magia, Nathalie, in pedana ne ha dimostrata tanta, stoccata dopo stoccata, assalto dopo assalto, fino a conquistarsi la medaglia più preziosa che porta con sé anche una ancora più preziosa qualificazione alle Olimpiadi e tantissima benzina alla missione di Nathalie, che è quella di diffondere la scherma in Brasile.

Nathalie Moellhausen rappresenta i colori del Brasile dal 2013, anno in cui ha scelto di passare, dopo aver collezionato diversi successi, dalla nazionale italiana a quella del Paese d’origine di sua madre. Una scelta complessa e non sempre compresa fino in fondo da chi era al di fuori, ma che per lei aveva ed ha una valenza che va molto oltre l’universo sportivo.

Io la seguivo ed apprezzavo da molti anni e ho gioito sinceramente quando ho assistito alla sua vittoria nel Mondiale di Budapest 2019. Ho avuto poi la possibilità di contattare telefonicamente la neo campionessa per porle qualche domanda: ne è venuta fuori una stupenda intervista che mi ha permesso di scoprire la bellissima persona dietro la grande campionessa.

Moellhausen

C: Agli ultimi mondiali di scherma a Budapest hai brillato come non mai, conquistando il traguardo più ambito: un oro individuale nella specialità di Spada Femminile. Innanzitutto, complimenti per questo grandissimo e meritatissimo risultato. Non posso che cominciare con: come ci si sente sul tetto del Mondo? Come ti senti ora che le sensazioni del momento hanno avuto il tempo di decantare?

N: È una sensazione unica che raccomando a qualunque essere umano, soprattutto perché ci sono voluti anni e sacrifici per raggiungere un traguardo che sembrava lontano e vederlo avvicinarsi è la sensazione più bella. Non c’è nulla che arricchisca di più di veder raggiungere i propri sogni.

C: La tua gara è stata emozionante dall’inizio alla fine, anche per noi che ti seguivamo in TV. Ti va di raccontarci le sensazioni che hai provato nel corso degli assalti? C’è stato un momento in cui ti sei resa conto concretamente che la vittoria era a portata di mano?

N: Ho sempre avuto una grandissima voglia di vincere: ne è esempio concreto il fatto che, dopo la vittoria a Budapest, il mio Maestro ha tirato fuori una lettera che avevo scritto a 21 anni in cui gli dicevo che avrei fatto tutto quello che mi diceva per conquistare la vittoria. Avendo questa forte convinzione, arrivavo sempre con troppa aspettativa alle gare, pensando troppo al risultato e non riuscendo ad esprimermi appieno. Con gli anni ho lavorato molto su me stessa per riuscire a vivere la scherma come arte, a non focalizzarmi sul risultato e vivere una stoccata alla volta. L’obiettivo era arrivare in pedana con la pressione della gara ma senza che mi bloccasse ma anzi che mi aiutasse a riuscire ad esprimere la mia arte. È stato necessario un enorme lavoro su me stessa negli ultimi anni, un lavoro molto intenso mentalmente per vivere il momento presente. Pensa che tre giorni prima della gara mi sono anche ammalata, sono stata con 38 di febbre ma l’ho preso come un segno e ho continuato ad allenarmi. Non ho mai pensato alla vittoria in sé, nel corso del Mondiale di Budapest, proprio perché volevo vivere momento per momento. La tensione era tanta anche perché si trattava del Mondiale più importante del quadriennio, poiché garantiva qualificazione diretta alle Olimpiadi.

C: La tua carriera si è divisa tra Italia e Brasile e ti ha regalato soddisfazioni con entrambe le nazionalità. Per l’Italia ricordiamo l’oro a squadre ai Mondiali del 2009, tuttora insuperato, e l’oro individuale ai Giochi del Mediterraneo, sempre nel 2009 (competizione a cui, peraltro, ho avuto la fortuna di assistere di persona ndr). Se però l’Italia è abituata alle medaglie della scherma, così non è per il Brasile, che grazie a te conquista il primo titolo mondiale in questa disciplina. Che effetto fa essere protagonista di questo importantissimo traguardo?

N: Francamente fa un effetto molto forte per via di tutte le ragioni che mi hanno portata a scegliere di cambiare nazionale. Questa scelta è stata accompagnata da tantissime polemiche perché non tutti conoscevano le mie vere ragioni: io sapevo benissimo perché lo stavo facendo ma l’unico modo per dimostrarlo praticamente era vincere.
Il mio obiettivo è divulgare la scherma non solo come sport ma come strumento di crescita personale, per aiutare le persone, è questa la mia missione.
Mi sono detta: l’Italia ha tanti schermidori forti ma se invece riesco a fare un risultato importante con il Brasile, dove non ci sono molti sport popolari tra la gente a parte il calcio, e per di più nell’anno in cui il paese ospita le Olimpiadi, questo potrebbe creare un boom nella nazione, fare la differenza. Ho constatato che quando diventi un eroe nel tuo paese, hai la possibilità poi di sviluppare progetti che siano davvero interessanti. Era successo allo spadista venezuelano (Ruben Dario Limardo Gascòn, campione olimpico nella Spada Maschile a Londra 2012 ndr), era successo anche a me con il 6° posto alle Olimpiadi, che aveva aperto la strada. Ora sento che si può fare un buon lavoro.

Nathalie Moellhausen

C: Come hai vissuto il passaggio dall’Italia al Brasile? Ti sei sentita accolta? È stato facile ambientarsi?

N: Il passaggio è stato indolore anche se non totalmente perché ero molto legata al CT della Nazionale Italiana, che ha sempre creduto in me. Ci teneva che tornassi in Italia, così come il Presidente Scarso. Per me però si trattava di una scelta di vita e il Presidente l’ha capito e rispettato. Il difficile è stato dato dalla sensazione iniziale, molto strana, di non essere più nessuno: quando sei uno sportivo la tua identità è legata al tuo Paese perché lo rappresenti. Quando non lo rappresenti più, è come se non fossi più nessuno. Non arrivavo in Brasile da vincitrice ma anzi dopo un anno di stop ed è stato un cammino molto difficile e pesante, anche se da fuori non si è visto. Ho avuto bisogno di lavorare su me stessa in quell’occasione.

C: Scherma per te non è mai stata solo sport: da sempre, infatti, contamini con successo ed eleganza l’arte in tutte le sue forme con la scherma. Come è nata questa idea? Perché per te la scherma è arte?

N: L’idea è nata quasi subito in realtà perché sono cresciuta in una famiglia di artisti e l’estetica mi ha sempre affascinato. Se non mi fossi dedicata alla scherma, avrei voluto fare studi artistici: ho studiato filosofia, in realtà, ma mi sarei dedicata al canto, alla musica, allo spettacolo, al teatro. A un certo punto, quindi, ho pensato di combinare le due cose: la scherma d’altra parte ha tantissima storia. Mi sono ritrovata a fare ricerche e a scoprire un mondo.
Ho capito così quanta umanità c’è dietro la maschera: quello che fa la differenza, nel nostro sport, è il dettaglio. Davanti ad un avversario, ognuno darà la sua interpretazione personale, diversa da atleta ad atleta. Questo è un aspetto che mi affascina da sempre moltissimo e continua ancora oggi a farlo. La verità è che amo profondamente la scherma.

C: I progetti extrasportivi di questo tipo che hai collezionato nel corso degli anni sono moltissimi: ricordiamo ad esempio la cerimonia di apertura delle celebrazioni per i 100 anni della FIE o lo Skrjmian Show. Ce n’è qualcuno a cui ti senti più legata o a cui tieni particolarmente?

N: Un progetto a cui tengo moltissimo è quello che si è svolto a dicembre 2018, la celebrazione per i 105 anni della Federazione Internazionale di Scherma. Si è trattato di un progetto magico che mi ha coinvolta moltissimo. Sono stata assunta dalla FIE a dicembre 2017, ci eravamo trovati bene cinque anni prima ed è stato bello ripetere l’esperienza. All’epoca avevo già creato il mio marchio 5touches e mi stavo chiedendo come trasformarlo: la celebrazione FIE si è sposata in pieno con il mio progetto e mi permetteva di costruire intorno al numero 5.
Peraltro, mio padre è venuto a mancare due mesi dopo che ero stata assunta: improvvisamente non potevo più avere consigli dalla persona per me più importante e mi sono ritrovata a poter fare affidamento solo sulla mia intuizione. Ho avuto carta bianca e quindi questo processo è trasparito nel risultato finale. Ne è venuto fuori un progetto davvero incredibile, che mi ha dato veramente tanto a livello professionale e mi ha dato anche la forza per tornare in pedana. La scherma mi ha sempre aiutato molto a lavorare bene, in quell’occasione però è successo anche il contrario: il lavoro mi ha aiutata ad esprimermi bene nella scherma.
Infine, è stato anche un po’ un progetto premonitore: per l’occasione avevo creato la storia di uno schermidore bianco che viaggia attraverso 5 universi. L’esperienza gli permette di acquisire gradualmente nuovi poteri e alla fine si trasforma da bianco in dorato: è un po’ quello che è successo a me a Budapest, è stata una metafora anticipata.

C: Oltre ai mondiali di scherma quest’estate si sono svolti anche i mondiali di calcio femminile, che hanno riportato l’attenzione sulla disparità di genere nel mondo sportivo: pensi che nella scherma questo problema sia superato? Il sistema scherma potrebbe rivelarsi un esempio virtuoso per le altre realtà sportive in questo senso?

N: Sento di poter affermare che nella scherma è un problema superato e che il pubblico segue con uguale interesse le gare maschili e femminili. Quindi sì, potrebbe rappresentare un esempio per le altre realtà sportive. Va riconosciuto, comunque, che nella scherma l’impatto maschile è più spettacolare, per la natura stessa dell’uomo. A Budapest, infatti, mi ripetevo spesso “Devo tirare come un uomo”, era anche nei miei appunti, perché l’uomo tira più di pancia mentre la donna è più riflessiva. In pedana, però, la riflessione serve a poco, nel momento in cui ci caliamo la maschera deve subentrare l’istinto di sopravvivenza.
In fondo il combattimento maschile è più realistico, mentre la donna è più speculativa, più calcolatrice. Siamo fatte così.
Chiaramente la disparità nello sport va superata, mantenendo allo stesso tempo le differenti caratteristiche di ognuno. È bello che ci sia diversità, ognuno ha i suoi ruoli ed è bello che sia così.

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Photo by Tim Clayton/Corbis via Getty Images

C: Come e quando ti sei avvicinata alla scherma? È stato amore a prima vista?

N: Mi sono avvicinata alla scherma a scuola, a 5 anni. C’erano tanti sport da provare e tra questi la scherma: nessuno nella mia famiglia la praticava, ma mia madre mi spinse a provare perché ricordava che il nonno guardava le gare di scherma delle Olimpiadi in TV. Così ho iniziato e proseguito per tre anni a scuola. In realtà a un certo punto ho cominciato a saltare le lezioni perché non mi piaceva il professore ma, quando mia madre mi ha detto “Se salti le lezioni, allora non farlo proprio più questo sport” ho sentito dentro la paura di perdere la possibilità di praticare la scherma: mi ero già innamorata, senza saperlo. Da allora non ho più smesso.

C: Quali sono le caratteristiche che più ti affascinano della specialità che pratichi, la Spada?

N: Ci sono molti libri antichi che parlano di Maestri italiani e uno di questi, non ricordo il nome, racconta di un Maestro che aveva tre figli cui faceva praticare Fioretto e Sciabola ma non la Spada, che definiva “L’arma maledetta”. Credo che sia vero: la Spada ha in sé qualcosa di misterioso che manca alle altre due specialità. Nella Spada tutto può succedere, in positivo ma anche in negativo. Mi ha formato come persona: mi ha insegnato a tenere i piedi per terra, a non dare mai nulla per scontato ed è importantissimo non dare le cose per scontate nella vita, proprio perché tutto può succedere. La Spada ti da la sensazione di non controllo: quando smetti di cercare di controllare il risultato e cominci a ragionare stoccata per stoccata, è come una terapia attraverso le stoccate. Fai un viaggio dentro te stessa perché l’azione è talmente veloce che prevale l’istinto, aspetto che per noi è incontrollabile. Anzi, spesso è lui a controllare noi.

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C: E adesso? Cosa c’è nell’immediato futuro della Campionessa del mondo? Quali obiettivi si pone?

N: Adesso l’obiettivo principale, anche perché non sapendo come sarebbe andata a Budapest non sapevo che mi sarei qualificata così velocemente, è l’Olimpiade. Voglio concentrarmi esclusivamente su quella gara come ho fatto per questo Mondiale, quindi le gare di Coppa del Mondo nel mezzo saranno l’occasione per studiare le avversarie e migliorarmi ancora. E anche per prendere un po’ di legnate, che fanno sempre bene: vincere sempre non è positivo, ti fa adagiare sugli allori, ci vuole qualche sconfitta ogni tanto per ritrovare la motivazione giusta.
Oltre a questo è sempre presente la mia missione in Brasile per divulgare la scherma e mettere le basi per il mio progetto 5touches. Dopo l’Olimpiade, che sarà la mia ultima, posso dirlo con certezza, mi dedicherò a questo al 100%.

Ringrazio ancora una volta Nathalie per questa bellissima chiacchierata: l’oro mondiale è già Storia ma ce n’è ancora tantissima da scrivere e io le auguro tutto il meglio!

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