Storie

Gabriel Lima, il capitano.

Questa storia inizia con messaggio in chat, Andrea ex giocatore di basket, ex giocatore di football americano, ex rugbista ex fidanzato di belle donne mi manda un “vocale” che recita più o meno: “ti devo raccontare una cosa che mi è successa perché poi so che tu la racconti meglio”. Si trattava di una storia di macchine distrutte, di serate troppo lunghe e di troppe donne.
Forse allora questa “cosa” che riesco a inventare storie bellissime è davvero un talento e cosa posso farci?
Non riuscirei a distinguere una diagonale nemmeno se attraversando la strada mi salutasse con la manina, posso però raccontarvi una storia, almeno così sostiene Andrea.
Quella di uomo dietro al calciatore, del calciatore e basta e di  quei casi più rari nel quale l’uomo e il calciatore coincidono.
“L’anno prossimo” è una delle parole chiave di questo racconto di sport e di vita.
L’anno prossimo raccontiamo del Nucleo Gabriel Lima.

gabriel lima

Perché dopo 15 anni in Italia non potevamo, già uso il plurale perché questa storia è al plurale e un pezzo me l’ha raccontata Federica. Non potevamo immaginare che tornasse a casa.
Casa è una parola complessa per un uomo che ha trascorso gran parte della sua vita adulta nel Paese che aveva visto suo nonno Ettore partire per il Sudamerica. Qui sono nati due dei suoi bimbi, qui è diventato un giocatore di futsal, qui è diventato una icona di questo sport.

Però al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori, quanti conoscono davvero l’uomo Gabriel Lima?
Avete notato che i calciatori spesso perdono la possibilità di essere chiamati solo con il loro nome e il loro cognome s’attacca inevitabilmente diventando un tutt’uno?
L’immagine pubblica di Gabriel Lima si compone di statistiche, coppe, di trofei individuali e poi ci sono quelle emozioni che rendono tutto diverso e speciale.
Voglio fermarmi però a parlare con Gabriel, ho un taccuino pieno di appunti e di domande, di spazi da riempire con le sue parole.
Microfono, telecamera, ciak e “com’è aver vinto così tanto, la nazionale, i tuoi bimbi e la tua famiglia”.

gabriel lima

Per lui quelle vittorie hanno un significato diverso, come la fascia da capitano e quella storia che si ripete, quella dell’inno nazionale che suona mentre sei in mezzo al campo, in piedi e tutti guardano giù verso di te e per la prima volta realizzi che è qualcosa di più, qualcosa più di un gioco e di un passatempo, altrimenti perché a così tanta gente importa così tanto di quello che succede su un campo di calcio anche a 5?
Questa è anche una storia di chitarre suonate in chiesa, di affetti lontani e della città di San Paolo. Di quella maglia bianco rossa e nera sfiorata, di un futuro che non è mai diventato presente e del rifiuto che ti cambia la vita. Una storia di lacrime di mamma, una storia fatta di tanti chilometri e di partenze dal fondo.

Alle sue spalle c’è una foto che lo ritrae con la famiglia e allora lui mi racconta di quella che lo ritrae mentre alza il trofeo da Campione d’Europa coperto dal tricolore, letteralmente coperto. Ora c’è una Italia senza il suo capitano oppure semplicemente con uno nuovo.

gabriel lima

Un po’ come è successo a Kevin Keegan due volte pallone d’oro, sessantatré presenze in nazionale, ventuno gol, capitano della nazionale inglese. Il nuovo manager Robson aveva perso il suo numero e venne a sapere dai reporter che non era stato nemmeno convocato, succede o forse no.
Abbiamo visto Anversa (Antwerp) con i suoi occhi e l’ho avvicinata alla mia di Anversa. La cattedrale di notte che è lontana da qualsiasi posto della città soprattutto se la raggiungi a piedi.
La responsabilità di sentirti un’oriundo, il peso di sentirsi straniero con indosso la maglia azzurra, l’orgoglio di essere italiano da trasmettere ai suoi bimbi e quello di aver difeso sul campo quei colori.
Vincere non è un accidente della vita e non è nemmeno un processo scontato eppure una volta un grande giocatore mi ha detto:

“l’Italia che vince l’Europeo è un grande risultato, una cosa eccezionale, com’è che invece qui tutti la considerano una cosa normale?”.

Come fa una vittoria a diventare un peso, come non si fa ad essere felici per le vittorie in una competizione nella quale tutti partecipano ma alla fine vince quasi sempre la Spagna e quando non succede arriva seconda.
Una storia che riparte dal basso ancora una volta, dal basso nel senso di altezza, dai bimbi che non sanno nemmeno giocare e da quella voglia di raccontare che per quanto faccia male al cuore questo sport, ti regala però grandi soddisfazioni.

gabriel lima

Lo sport come volano sociale, come strumento di riscatto. Lo sport fattore imprescindibile della nostra società capace di smuovere le montagne.
Intorno a noi c’è una casa piena di ricordi da “spedire a casa” ma questa volta attraversano l’oceano per raggiungere il Brasile, c’è tanta roba sparsa ovunque a raccontare di un tratto di vita speso inseguendo un sogno.
C’è il parabrezza rotto della macchina e la gente del quartiere che ti offre una maglia asciutta e un the per riscaldarti perché siamo meglio di quello che pensiamo e siamo ancora umani. A far da sfondo a questo racconto quella parte di Pescara che vive intorno al porto e conosce quanto è dura la vita e quando deve stenderti una mano, perché è giusto così.
La nazionale ha perso il suo capitano, l’Acqua e Sapone ha perso un giocatore, noi abbiamo perso un uomo e ci sentiamo un po’ più soli.
Grazie per le emozioni, grazie per i ricordi.
L’anno prossimo ci vediamo qui, dove ci sono più palazzetti che squadre, con i “tuoi bambini” che giocano.

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