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UEFA Women’s Futsal Euro – E’ tutto già finito, è tutto ancora qui

UEFA Women’s Futsal Euro

SILVI BEACH – 2 Oki e 4 mezzi di trasporto dopo, per un totale di 2500 chilometri dai festeggiamenti della Spagna regina dell’Europeo, sono a casa. Non finalmente. Soltanto a casa. Lontana dalla pietra miliare che è stata l’edizione di Gondomar e lontana un mese dalla Final Eight. Tra qualche giorno sarò felice di essere rientrata, ma oggi no: sarei tornata volentieri sul Ponte Luiz I e sull’Avenida Diogo Leite, stando stranamente attenta agli orari perché di far tardi al Pavilhao Multiusos non se ne parla nemmeno. E invece niente. Oggi la Spagna realizzerà di essere la squadra campione d’Europa e io realizzerò che è tutto finito. Saudade.

Ma la mia sindrome da accumulatrice seriale mi ha permesso di rientrare con il solito pesantissimo bagaglio che se Ryan Air sapesse, ci sarebbe una taglia sulla mia testa affissa sui tornelli di tutti i gate della compagnia. La maglia-talismano di Amparo che conservo dal 4 Nazioni viene controllata insieme al solito deodorante sottomarca, il resto passa senza problemi e viene via con me in questa notte fantastica che fatica a farsi giorno. Sarà perchè la sveglia suona alle 4,30 e ho appena chiuso gli occhi consumando gli highlights della finale che è stato l’evento più visto del canale televisivo RTP. 2 milioni di persone, 650.000 persone di media.

Al Pavilhao siamo 2.800, il massimo consentito. Tutti sanno che non sarà una serata come le altre e tutto lo dice: l’organizzazione frenetica dei dirigenti UEFA,  la presenza di Ricardinho O’Magico sugli spalti. La tensione sul volto delle giocatrici che entrano in campo sapendo che è adesso, o forse non sarà mai più. I cambi durante l’Europeo avvengono alla velocità della luce: hai un minuto e mezzo, a volte due, per fare del tuo meglio e Mayte Mateo impartisce lezione di ottimizzazione del tempo siglando un 1-0 di rapina a pochi secondi dal suo ingresso. Devo ancora chiedere a sua madre, Toni Gonzalez, se alla fine l’ha trovato un biglietto. Se sì, si sarà goduta dal vivo la gioia di vedere sua figlia rompere il ghiaccio nei 40 più importanti di tutto il movimento, regalo anticipato per i 25 anni scattati nella mezzanotte.

Già questa potrebbe essere una storia nella storia: ci insegnano di principesse per una notte appena e carrozze che si trasformano in zucche. Dovrebbero raccontarci più spesso, invece, di quelle giocatrici che lottano ogni giorno per costruire un sogno che al loro risveglio sarà ancora lì, ancor più bello della sera prima. E potrebbe essere davvero la protagonista di una favola, Anita Lujan, con i suoi occhi azzurri e i capelli biondissimi: al posto di scarpette di cristallo, però, indossa scarpe da indoor che toccano a malapena il parquet tanto vanno veloci. Da una delle sue incursioni nasce il raddoppio, quello che in gergo definiamo “gol della sicurezza”.

“Ma cosa vuoi che sia già scritto in una finale del titolo europeo dopo 5′?”, mi chiedo. E sbaglio.  Carla Vanessa prova ad invertire le sorti, anche Jenny ce la mette tutta ma dopo un po’ torna a sedersi in panchina con lo sguardo preoccupato. Quando anche Ana Catarina, miglior portiere del mondo, commette un’imprecisione sul tris di Romero, inizio a capire che forse stavolta il destino sta presentando il conto in anticipo. Non vuole crederci il pubblico, in massima parte rossoverde: sono tutti in piedi e chiamano a gran voce una rimonta che però non si compirà mai.
“El sueño cumplido” è invece quello della Spagna, che chiude i conti con Vane Sotelo, MVP e prima marcatrice della competizione e ora aspetta solo di poter alzare al cielo la Coppa portata in campo dall’osservatrice UEFA (e CT della Nazionale italiana) Francesca Salvatore.
Prima, però, onore ai vinti: “pasillo” per l’Ucraina quarta classificata e per la Russia con la medaglia di bronzo al collo, l’ultima a passare attraverso le maglie iberiche è Ana Azevedo, capitano lusitano, con le spalle incurvate e lo sguardo basso. La sconfitta che le brucia negli occhi è quella della resa. Ma lo sport è fatto anche di giornate come queste (“Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile”, cit.).

Quando sul led luminoso compare la scritta Winners, il palcoscenico diventa tutto della Spagna. Adesso non è solo Ampi a saltare, ma anche il CT Claudia Pons che viene lanciata in aria da tutte le sue giocatrici. L’ha spuntata una donna (ciao, Collovati), alla guida di grandissime donne. “Non siamo una Nazionale, siamo una squadra”. La numero 7 ai nostri microfoni non fa mistero del segreto delle Furie Rosse, che adesso è chiaro a 2 milioni di persone. “Somos la leche” – siamo il meglio che c’è – dice invece tra le lacrime Anita Lujan, che ora chiede l’aiuto di persone disposte a scommettere su un movimento che non ha più nulla da dimostrare: è uno spettacolo a tutti gli effetti, con risposte che a volte superano quelle del maschile. Solo chi non vuol vedere potrà ancora continuare ad ignorare.

E mi piace pensare che sia stata una vera e propria festa delle donne: dal CT Pons, arrivata sul tetto d’Europa battendo la concorrenza dei colleghi, agli arbitri – dall’italiana Chiara Perona a Gelareh Nazemi, prima donna dell’Iran ad aver diretto una competizione UEFA  – fino a tutte le protagoniste dell’edizione zero.
La storia comincia dalla Spagna e da un’immensa Amparo che  non ha scordato di portare sul tetto d’Europa anche un pezzettino d’Italia.
Scrivo questo pezzo sull’autobus che mi riporta a casa: è tutto già finito, ma è tutto ancora qui.

“Il mio sogno finisce tardi
lascia l’anima nella veglia.
Al largo ancora arde
la barca della fantasia
e il mio sogno finisce tardi
svegliarmi è ciò che non vorrei”.

 

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