È un po’ di tempo che non scrivo, che non racconto quello che succede nel campionato di Serie A femminile. Non ricordo dove eravamo rimasti.
È che sapete, quando sei infortunata, quando sei costretta a stare fuori, lontana dal campo, dallo spogliatoio, dalle compagne, è come se restassi in apnea.
Per lo meno a me succede così, penso.
Come se trattenessi il fiato aspettando il momento in cui potrai rientrare. Perché il periodo di convalescenza da un infortunio è, si, un periodo in cui si deve lavorare sodo per recuperare il prima possibile, ma è, soprattutto, pazienza. Una pazienza senza sosta che devi avere ininterrottamente ogni giorno, ogni ora, ogni settimana, ogni volta che passi al campo e guardi da fuori, e trattieni il fiato. In apnea. L’insofferenza, l’irrequietezza bussano, e tu cerchi di non aprire. Ascolti il tuo corpo, non ti senti a posto, e non ce la fai più. Non ce la fai più ma in verità ce la fai, perché non hai alternativa.
È una lotta quotidiana e privata, quella della pazienza. I pensieri smettono di fluire in maniera scorrevole, come se si creasse un enorme blocco, una sorta di ingorgo.
Buddhastyle.
Provo a fermarmi a pensare dopo ogni partita. Che cosa posso raccontare? Niente. Espugniamo il difficile campo di Sassuolo, la Fiorentina ne fa sei all’Orobica, il Verona nove nel derby con il Chievo. Io penso
“non voglio stare fuori, non voglio stare fuori.”
Le big continuano a vincere, pareggiano Roma e Fiorentina, noi perdiamo male in casa contro il Tavagnacco. Urlo, mi agito, le mie compagne ci provano ma sembrano voler buttare giù la traversa (saranno 4 a fine partita.), e io sembro voler buttare giù la rete della recinzione della tribuna. Fischio finale.
“non ce la faccio più a stare fuori, non ce la faccio più a stare fuori, non ce la faccio più a stare fuori”, penso.
Tabula rasa. È natale. 2019. Punto e a capo. Un altro sabato al freddo a fare i gradoni su e giù dagli spalti ed ecco finalmente la tredicesima giornata, quella appena trascorsa. La mia Florentia è di scena a Vinovo, sul campo della Juventus capolista. Rientro finalmente, convocata dopo un mesetto di sosta forzata ai box. Menomale non devo soffrire in tribuna questa volta, penso. Si torna a respirare. Le bianconere stanno bene e si vede, impongono un ritmo alla gara al quale non siamo abituate, soffriamo. In campo e in panchina. Mi accorgo e mi ricordo subito che si soffre anche in panchina e non di meno, anzi. Urlo, mi agito, sbraito. “Dome vuoi farti buttare fuori anche oggi?” mi redarguisce una mia compagna.
Storco il naso, ma Irene ha ragione e mi viene da ridere, con la mia esperienza dovrei essere io quella saggia. Apnea, penso, almeno in tribuna potevo urlare. Buddhastyle Giulia! Andiamo sotto di un gol, autogol e infortunio per Dongus. Non si mette bene, penso. Mi alzo in piedi e urlo a squarciagola: “testa raga, testa. Non molliamo.” non possiamo sbracare, penso, la partita è appena iniziata, e infatti non lo facciamo. Resistiamo per ottanta minuti poi finirà tre a zero nonostante Marchitelli pari l’impossibile.
Due espulsioni ci condannano a tenere testa alla Juventus prima in dieci e negli ultimissimi minuti addirittura in nove.
L’intervento che porta al secondo giallo di “Fila” (Filangieri) è irruento, fuori tempo, sicuramente evitabile. Riguardo le immagini e “non doveva entrare doveva rinculare avevamo anche la difesa ben schierata” penso. Ingenuità. Inesperienza. Queste cose si pagano.
90′ Bonansea si invola verso la porta, Ceci tenta una trattenuta da dietro. Fischio, espulsione, rigore e gol. Tre a zero. Mani tra i capelli e il pensiero va immediatamente alla prossima gara. Due terzini squalificati, una per un fallo evitabile, l’altra per un’ingenuità a partita ormai finita e decisa. Fila e Ceci, che ingenue.
Ma le avete mai viste giocare voi? Quella non è semplice ingenuità, penso, io la conosco Fila, quella è foga, è rabbia.
E Sere purtroppo ha questa impossibilità cronica ad arrendersi, anche quando sarebbe più saggio e conveniente. Il terzino toscano avrà sicuramente pensato, per un attimo: “la partita ormai è finita vabbè fai sto gol” Ma quanto sarà durato quel pensiero nella sua testa? Un secondo forse, come un lampo, poi, come aveva fatto nei novanta minuti precedenti , ha deciso di non arrendersi, di non mollare, ha deciso che non voleva accettare, di essere sconfitta, di perdere una palla, un contrasto, niente. E ci ha provato. Ha provato a fermarla, come ci aveva provato per l’intera partita, riuscendoci più che spesso. Fila non è stata irruenta. No, quello è stato coraggio. E tutte le volte che Fila è coraggiosa, rischia un intervento e riesce nel suo intento, è una dose di adrenalina nelle vene della squadra, delle compagne, dei tifosi, è come se dicesse : “io non ho paura e non dovete averne nemmeno voi”.
Come si fa a limitare il coraggio per colpa delle volte in cui rischi e ti va male? Io non mi sento di farlo, penso. Allora ripenso a sabato, a quegli episodi, alle mie due compagne di squadra che escono dal campo scoraggiate, arrabbiate, stanche, e credo di vedere oltre quegli errori, oltre i modi con i quali sono arrivati, e oltre vedo le sorgenti dai quali nascono : la voglia di non arrendersi e il coraggio. Preferirò sempre la troppa foga all’arrendevolezza, penso. E anche oggi sento che mi è stato insegnato e ricordato qualcosa di importante. Io che ho costruito la mia carriera su queste peculiarità, voglio continuare ad essere come Fila e come Ceci. O forse tornare ad esserlo, ginocchia permettendo, penso.
Giocare al fianco di gente così ti responsabilizza. Non puoi mollare, non puoi arrenderti, non puoi farlo se non lo fanno loro, siamo una squadra, penso. E se lo fai con coraggio allora puoi anche trascinare la squadra nel baratro, ti è concesso, se fino a poco prima l’hai tenuta sulle spalle, l’hai sostenuta, l’hai fatta rimanere a galla. L’esperienza arriverà, le ingenuità saranno sempre di meno, o magari no, penso, ma che importanza ha adesso? Nessuna, perché si parla di coraggio e del perché mi sono sentita orgogliosa di vestire la loro stessa maglia sabato. La nostra responsabile alla comunicazione, Martina, dice sempre: “la cosa bella del lavoro di squadra è che hai sempre qualcuno dalla tua parte” e allora penso di non essere l’unica oggi a vedere le cose dalla parte di Fila e Ceci e a dire e sentire che per loro, se serve, faccio anche il terzino!