Ci sono dei “no” che costano molto più di tanti “sì”. Sono quei “no” che segnano la nostra vita in modo indelebile, che esprimono la nostra indole e la direzione dei nostri pensieri. Sono il frutto di decisioni che riflettono il valore che diamo alle cose e in quale ordine gerarchico collochiamo affetti e impegni.
Ci sono dei no, insomma, che raccontano al mondo chi siamo.
Mi sono sentita ripetere spesso che ogni scelta comporta una rinuncia, che l’esercizio della libertà ha SEMPRE come conseguenza l’assunzione di una responsabilità nei confronti di sé stessi, degli altri, del mondo. Che poi alla fine, se ci penso bene, essere veramente persone significa proprio questo: prendere delle decisioni morali e saperle motivare, dando un senso alle proprie azioni.
“Io sono artefice del mio destino“: è la grandissima conquista dell’Umanesimo e di Star Wars. Soltanto che il mio destino, con una certa dispettosa frequenza, mi porta ad essere presente in alcuni luoghi e in alcuni cuori e ad essere assente in altri luoghi e in altri cuori. Vorrei avere il dono dell’ubiquità, per poter essere qui e ora ed essere al contempo lì e ora.
Il problema del tempo non è tanto che scorre veloce, quanto che a volte è talmente bastardo e ingordo da concentrare in un giorno solo alcuni tra gli eventi più importanti della tua vita. E guarda caso sempre di domenica, l’unico giorno della settimana in cui le persone decidono di celebrare la loro felicità. E i lunedì? Perché non dare qualche gioia ai lunedì? O a un bel martedì?
Il giorno del signore è diventato per me il giorno della rinuncia. Il giorno del tempo che da qualche altra parte scorre senza di me.
E sembra farlo apposta, il tempo: si diverte e se la ride di me e dei miei tormenti etici. Che gli importa a lui, tanto passa e se ne va: panta rei.
Guardo le foto di famiglia degli ultimi anni; papà ne ha stampate alcune per darmele, non so se più per monito che per regalo incondizionato: tra sorrisi che ormai conosco a memoria e volti nuovi aggiunti dalla vita che avanza e si perpetua, vedo un vuoto ricorrente, una mancanza che si manifesta prepotente allo sguardo e che chiede di essere notata: la mia.
“Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”
Dice Nanni Moretti in una celebre scena del film cult Ecce Bombo. Io, nel dubbio, vorrei che nessuno si preoccupasse della mia assenza. O almeno che non ne soffrisse.
È vero: ho scelto io chi essere e come trascorrere tutte le domeniche della mia vita. E quindi ho scelto io di non esserci il giorno della nascita di mio nipote, del compleanno di mia madre, dell’anniversario di matrimonio dei miei nonni. Ma ho scelto anche di non esserci il giorno in cui mio padre ha bisogno di essere accompagnato all’ospedale o quando mia nonna deve fare le spesa o quando mio fratello festeggia il suo primo contratto a tempo indeterminato.
Rinunce che si sommano e che ogni tanto appaiono imperdonabili agli occhi degli altri e pesanti agli occhi miei.
Questa è la mia storia. Come me, tanti; come me, tante.
E questa storia, la storia della mia vita, prevede capitoli in cui nel racconto dovrei essere presente tra i protagonisti, e invece non ci sono. Sono soltanto una voce fuori campo, una videochiamata, un messaggio vocale di auguri, una mano che scrive per consolarsi dal dolore di non esserci, ancora una volta.
Perché ho deciso di esserci nelle foto di squadra e di conseguenza nelle foto di famiglia io non ci sono mai.
Per Aspera Ad Astra
Streben