I tassisti latinoamericani di New York e la loro lega di baseball, le birre che costano solo un euro e cinquanta, il televisore 4k, la Roma che ne prende due dalla Spal, il pianista e i gonfiabili.
Le strade strette e i segnali stradali montati al contrario, un “pallone” che poi vorrei capire chi la chiama davvero tensostruttura e il calcetto.
Si perché anche se l’illuminato da qualche lampo di classe, dentro quel campo si gioca per il sudore, per la birra dopo partita, per le compagne, per il risultato. Con i piedi ruvidi, con la corsa affannata ma con la rabbia e la grinta delle partite vere, quelle dove i tre punti significano più di quello che racconta una classifica.
Che c’entrano i tassisti della grande mela?
Non vi capiterà forse mai di stare seduti in un campetto di baseball nei Queens a guardare una partita tra un gruppo di tassisti e poi scoprire che quella che guardi è una gran partita, semplicemente perché loro sono ex giocatori professionisti, tutti con un passato nelle minors. Lo vedi quel talento, quel pezzo di storia che poteva essere, l’abilità sportiva che aveva attratto gli osservatori. Forse però vi sarà capitato di guardare una partita UISP, le squadre della nostra zona sono spesso infarcite di ex giocatori di Serie A, B e ex Serie C. In mezzo a cento giocate approssimative, si scorge quel lampo di classe, quello stop perfetto, quel controllo a seguire e non a inseguire.
Ci sono delle storie incastrate tra le fibre di certi scarpini, si specchiano nel cuore e se porgete con attenzione l’orecchio tra le imprecazioni ne troverete una che vi sorprenderà.
La Serie C di calcio a 5 femminile è quel luogo reale dove s’incontrano i sogni e i rimpianti. Si ritrovano a dividere il campo la speranza di quello che potrebbe essere e il rammarico per quello che è stato oppure non è mai diventato.
Forse Silvia sapeva davvero giocare in qualche momento della sua carriera sportiva. Ho scritto Silvia, giocare e carriera sportiva nella stessa frase, non sono sicuro si possa fare.
A differenza di quelle partite di baseball all’ombra dei grattaceli americani, qui scendono in campo: ingegneri, giornalisti, insegnanti, donne giovani e meno giovani. Tutto è dannatamente personale, perché ci si conosce appunto, anche fuori dal campo, si frequentano gli stessi locali, spesso si condivide la stessa città.
Ruvido.
Il muro di cemento che cinge il campo, i contrasti di gioco, l’arbitraggio.
C’è più pubblico che in molte partite di Serie A femminile, che il pallone rimbalzi o meno cambia poco.
Assiepati lungo la linea laterale, stretti in uno spazio che non riesce a contenerci. Qui c’è quel rapporto personale tra giocatori e spettatori, importa davvero e non ci sono solo amici e parenti. Siamo qui per vedere giocare Michela che resta però più brava come giocatore di basket.
Questa è la prima partita, ufficiale di Silvia alla quale assisto. Un po’ come andare a vedere Ser Stanley Matthews giocare per lo Stoke City a 50 anni. Penso al Victoria Ground a quell’angolo dello stadio colpito dalla bomba di uno Zeppelin, rimasto così intatto fino al 1965 nell’ultima partita del più grande giocatore inglese di sempre.
Queste sono giornate piene di immagini troppo sfocate, una di queste all’improvviso si mette in movimento.
La finta e il dribbling. Va via al suo marcatore nello spazio tra l’avversario e la linea laterale. Poi incrocia l’esterno destro e la palla batte sul palo lontano e finisce sul fondo. Una azione da giocatore vero, eppure lei è quella con i capelli rossi. Quella che ti racconta quando hai trovato casa anche se è solo la casa sportiva. Saranno state le scarpe rosa di Dayane non c’è altra spiegazione plausibile.
Il pareggio nel finale, l’espulsione, l’arbitro che si lascia sfuggire la conduzione della partita.
Attendiamo le protagoniste, almeno le due che conosciamo.
La pizza calda e le olive ascolane bollenti. Le birre fredde e le partite della terza giornata della Serie A di futsal.
Tornerò, anche solo per il dopopartita.
Palaroma.
I muri imbrattati, perché forse ci disegnano sopra i peggiori “writers” della zona, le porte chiuse.
C’è una partita ma inspiegabilmente gli ingressi sono sbarrati, solo i piccioni riescono ad entrare dai lucernai spaccati.
Il social match di futsal femminile. Il gol di Chiara di testa, per me vale come fosse stato fatto in rovesciata, nel posticipo della Serie A, m’accompagna su questo parquet consumato. Non c’è più nemmeno il bar, pensare che questo era uno dei palazzetti più belli per il futsal.
In campo riconosco Roberta e Alejandra, indossano la casacca di una compagine toscana. Ancora pezzi di storie e di talento di quello che poteva essere e di ciò che è stato. L’isola d’Elba, i video e le dirette su instagram, la chitarra.
C’è anche Federica e la sua maglia numero otto.
Troppi se, molti ma e tante parole perse, voci troppo lievi e angoli della vita voltati in fretta per trovarsi poi davanti ad un muro.
Sport è vita, sport e vita.
Manca la velocità d’esecuzione, manca il passo da Serie A.
Forse sotto il sole della capitale c’erano questi due elementi ma non ero lì per poterli osservare. C’è tutto il resto, il tocco di palla, l’intelligenza tattica.
Non saprò mai cosa poteva essere se avesse creduto, se non fosse successo. Troppi se in questa storia e allora mi sembra di ricordare le parole di una canzone.
“Wrapped up, so consumed by all this hurt
If you ask me, don’t know where to start
Anger, love, confusion
roads that go nowhere
I know that somewhere better
‘Cause you always take me there”
Marco è con quì, maglia della futsal cup d’ordinanza. Dobbiamo regalargli felpa e maglia di AGS, quanto prima.
Questa è l’occasione per capire come mai usa una reflex con la quale nessuno scatta foto, per fotografare. Parliamo di vinili, di format, di storie da raccontare.
Questo è quello che facciamo seduti qui, raccontiamo storie.
L’epica di uno sport.
A raccontare quello che non funziona in fondo sono bravi tutti, l’ovvio è così evidente.
Nell’odore di muffa, negli spogliatoi freddi e nell’acqua gelata.
Nei dolori del lunedì mattina, sul posto di lavoro dove probabilmente ignorano che sei più brava a fare uno stop della maggior parte degli uomini presenti.
Piove forte fuori, qualcuno è venuto in motorino o in bici.
Mi volto per un attimo a guardare il palazzetto silenzioso, buio e vuoto.
Il tabellone spento, il risultato è già storia. La vostra storia, quella che portate stampata negli occhi e sulle gambe livide.