Lei era di spalle, di spalle a cosa?
Alla sua infanzia, alle sue lotte, al suo passato presente e futuro, di spalle agli amici, ai suoi tifosi, di spalle perché?
Nessuno lo capì in quel momento, di spalle perché non la vedessero piangere, mentre una lacrima, una sola solcava la geografia dei suoi zigomi per scendere e morire sull’angolo delle sue labbra.
E’ così che succede quando te ne vai da te stesso, dalle tue radici e da quello che non pensavi avresti lasciato, mentre piangi il dolore della scelta e non ti fermi a spiegare la dignità con cui l’ hai fatta.
Il mercato, cosi lo chiamano, è un posto che immagino sudicio, dove una volta che il circo è passato lascia in terra cocci, carte e sogni ma sopra tutto cuori infranti e sguardi persi.
La casa era giusto al confine tra il vento e la sete, un posto abitato da fate e da poche altre forme di vita ugualmente concrete, vicino all’incrocio di un paio di strade sterrate che senza motivo apparente si incontrano e poi disperate ripartono.
La gente che passa ci guarda e prosegue veloce, se almeno si vedesse l’autostrada ci porterebbe senz’altro ad una città.
Chissà cosa ti passa dentro mentre apri la valigia ed ogni tanto ti sbirci nello specchio?
La valigia che di solito usavi per le vacanze, poi piano piano la riempi e ci ripieghi i migliori anni della tua vita, il primo gol in serie A, la prima convocazione in nazionale; ormai sei grande ti ripeti, ma intanto ti senti piccola piccola e via una lacrima che scende dritta e perpendicolare nella valigia, quasi con la stessa traiettoria con cui hai fatto esultare tante volte i tuoi tifosi.
E’ lo sport ti dice una vocina da dietro una spalla, nel silenzio della stanza puoi sentire la paura ed il vuoto, la malinconia del maglione invernale che pieghi nella valigia anche se è Agosto, perché stavolta non è una vacanza ma una scelta di vita.
Te lo sei mai chiesto cosa prova una giocatrice mentre cambia maglia, città, persone, vita, scarpini e cielo?
Ieri l’ho vista di spalle mentre camminava lenta e la stanca aria d’ agosto le spettinava la coda , in una mano la valigia, nell’altra stretti in un pugno i suoi sogni di bambina, il suo cuore in tumulto, una foto di quel che era stata e la rabbia per non essere compresa.
Qual’è il valore degli oggetti, delle persone, dei sentimenti?
Il valore è quello che esprimi quotidianamente, il sudore che ci metti, la forza con cui proteggi tutto, le ferite che ti porti sulle gambe ed i graffi nell’anima, questo è quello che da un grande valore a ciò che sei per la tua città e per chi ti ha ammirata e sostenuta, magari più in silenzio degli altri, senza eccessi ma non senza vigore.
Il treno sbuffa e fischia, la destinazione è quella che ti allontanerà da tutto questo trambusto ed una volta arrivata potrai aprire la valigia e ritrovare quella lacrima poggiata ancora li dove era caduta, non si è asciugata nonostante il caldo e nonostante il tempo passato, niente di quello che hai impresso nella storia può essere cancellato, la tua lacrima resterà li a dirti ogni giorno chi sei ed a sconfessare tutti quelli che vorrebbero insegnarti come si ama una maglia, una tifoseria una città.
La chiesa era uguale alle case ma aveva una croce e forse un po’ più di vernice ed un’ unica luce fornita da fiaccole appese imbevute di pece, fu li che la vidi a braccetto col prete era il 5 di Aprile, e tirava una brezza che dava colore alla quiete e profumo di pane alle olive, lei pure mi vide e forse sorrise, non sono sicuro ma forse davvero sorrise perché all’improvviso fu molto più forte l’odore di pane alle olive.
L’incrocio- la casa- la chiesa- la croce ed in più lo spettacolo atroce di tutta la gente che passa, ci guarda e prosegue veloce.
Se almeno si vedesse l’autostrada, buon viaggio Eva.