Arrivo a piedi da casa, c’è una partita play off, la prima tra le mura amiche del Pescara Femminile. Non m’aspetto di sentire il fragore del pubblico che esulta, rumoreggia o fa il tifo. Il Pala Rigopiano è vuoto, desolatamente. Puoi sentire il pallone rimbalzare, ma non è l’unico rumore che s’avverte. S’è riempito delle voci che animano questa storia di sport, di vita, di parole date e promesse non mantenute, di passione e di sconfitte, di voglia di vincere e di soldi.
Solo pochi mesi fa, a Marzo, appena terminata l’ultima partita interna di Vanessa e Jenny con la maglia biancazzurra del Pescara, avevo scritto una storia, quella di questa stagione maledetta per la compagine di questa città.
Mi era stato chiesto di aspettare, di non pubblicarlo quel pezzo.
“Lascia che finisca questa stagione, quando saremo libere…” [L’ho fatto ora, a posteriori]
Ho mantenuto la prima parte della mia promessa, ora è tempo per tener fede fino in fondo alla mia parola.
La sirena chiude l’avventura sportiva di questa squadra, almeno quella formale.
Una sconfitta di misura in casa con la Kick Off, ormai tra le serie candidate al titolo.
Fissate nella mente quest’immagine: le galattiche non ci sono più.
Avevo bisogno di una voce che m’accompagnasse in questo viaggio a ritroso nel tempo, che mi aiutasse a capire cosa è accaduto, come s’è frantumata la corazzata biancoazzurra destinata a vincere tutto.
Pescara.
Il centro della città, piazza salotto. Su google maps si chiama Piazza della Rinascita, ma davvero solo li.
Si prepara il palco per il primo maggio e con Federica m’aggiro cercando il portone che ci è stato indicato per l’appuntamento. Sembrano tutti uguali in questo quadrilatero di palazzi anni 50, stretto tra i lunghi viali.
Ci accoglie Vanessa Cristina Pereira, per tutti gli appassionati di futsal femminile, semplicemente Vanessa.
Tre volte miglior giocatrice al mondo. Sei titoli mondiali con la nazionale brasiliana. Due volte eletta miglior giocatrice del Sudamerica. In Italia un titolo di capocannoniere sia in campionato che in coppa Italia.
Siamo a casa di amici, un appartamento elegante e dalle line sobrie. Ci accomodiamo intorno ad un tavolo rotondo, scorgo quello che sembra un vecchio jukebox collegato ad un computer.
Lei si accomoda. Un vestito sobrio, capelli lunghi e scurissimi.
Le chiediamo come s’è fatta male al dito mentre tiriamo fuori appunti, taccuini e registratore.
“Uno sciocco incidente domestico” è la sua risposta sorridente.
Finisco lì in quell’istante i sorrisi.
Parto con quella che mi sembra la domanda più semplice:
Come mai a Pescara?
“Avevo una offerta simile a quella che ho accettato dal Pescara. Ho scelto loro perché mi mettevano intorno giocatrici che mi avrebbero aiutata a vincere”
Arrivi ad Agosto, firmi il tuo accordo economico.
“Firmo per l’importo massimo consentito per i giocatori non professionisti. Ci portano in ritiro, scelgono un albergo in città e prepariamo lì la stagione, con tutta la squadra. Non manca nulla, nutrizionista, fisioterapisti, sono fiduciosa per la stagione che inizia.”
Prendete d’assalto il campionato, letteralmente. Frantumate qualsiasi avversario e l’ufficio stampa della società cavalca la narrativa delle “Galattiche”.
Nel mentre però qualcosa sembra scricchiolare nel maschile. Il 28 ottobre un articolo del giornale locale Il Centro rivela l’esistenza di un caso Fernandao. Il forte pivot naturalizzato spagnolo infatti sembra aver trovato l’accordo con la compagine dell’Halle Gooik per trasferirsi nel campionato belga nella finestra di mercato dicembrina. Solo poco tempo prima la società aveva respinto le dimissioni dell’allenatore Fulvio Colini.
Tu eri tranquilla?
“La società ci aveva rassicurato e da lì a poco nel mese di Novembre abbiamo ricevuto una mensilità come parte dell’accordo economico, avevo la loro parola, quella di Matteo Iannascoli e questo mi bastava”.
Vanessa continua a fissarci negli occhi, non distoglie mai lo sguardo, ha la schiena dritta e mentre il registratore continua a tener traccia di questa lunga chiacchierata non mi sembra mai di scorgere rancore, solo delusione, profonda.
A fine novembre le dimissioni di Fulvio Colini da mister dalla squadra maschile diventano definitive, la società in una nota rimarca come “consensuale e fisiologico” la fine del rapporto con uno degli allenatori più vincenti del panorama italiano.
La crisi di risultati della compagine maschile è innegabile, le ragazze invece continuano il loro percorso trionfale.
Siamo alla finestra di mercato di dicembre, il futsal femminile italiano viene scosso dal trasferimento di Maite Garcia dal Pescara all’Olimpus, una diretta concorrente, sui social si è anche fatto cenno a cifre riguardo quel trasferimento, severamente vietate dalle norme che regolano l’attività dei dilettanti. Nemmeno lì hai avuto qualche dubbio?
“Ho chiesto spiegazioni, ero a Pescara per vincere, vincere tutto. Perdere una giocatrice importante a favore di una diretta concorrente non è qualcosa che fai se vuoi vincere. Matteo mi ha rassicurata ancora una volta dicendo che era l’unica cessione, sarebbe stata l’unica giocatrice ad andare via.
Qualche settimana dopo abbiamo ricevuto una nuova tranche dell’accordo economico e tutte ci siamo rasserenate”.
Entro un mese però tutto sembra precipitare.
“Mauro, io pratico questo sport per passione ma è anche il mio lavoro. Se la società mi avesse incontrata dicendomi “abbiamo un problema…” avrei cercato con loro una soluzione. Volevo vincere, avrei detto: datemi i soldi da rimandare in Brasile per il resto ci mettiamo d’accordo. Sono una donna che crede alla parola data e invece ogni volta mi veniva risposto: vi farò sapere, oppure devo incontrare la proprietà, se la proprietà è tuo padre non deve essere così difficile parlarci.”
“Ti racconto la settimana che precede Pescara – Cagliari.
Mercoledì, incontriamo la società ribadendo la mancanza del rispetto degli accordi economici. Il venerdì seguente, incontriamo la società, separatamente e ci viene chiesto cosa vogliamo. Chiedo il rispetto dell’accordo, garanzie che prima o poi avrei avuto quello che mi spettava. Volevo vincere e volevo farlo qui. Mi risponde con un vi farò sapere.
Il lunedì successivo a due giorni della partita, Matteo (Iannascoli) mi dice che doveva parlare con la società, ma non è suo padre la società? Il martedì, il giorno prima della partita c’è una nuova riunione.
Ci assicura che entro quindici giorni sarebbe stata saldata una mensilità e che non poteva far tornare indietro il Cagliari e per rispetto di tutti dovevamo giocare. Sono stanca di essere presa in giro così, sfinita chiedo la cessione. In Spagna sono disposti a prendermi ma devo liberarmi entro la chiusura della finestra di mercato iberica. Un calvario anche in questo caso, un tira e molla continuo. Alla fine dopo la partita con il Cagliari riesco a liberarmi e posso finalmente prendere l’aereo”.
Andrà via anche Jenny Rodriguez, la forte nazionale portoghese, anche lei destinata a vestire la casacca di una squadra iberica, il Burela. La rosa è ormai ridotta all’osso, del nucleo di quelle galattiche sono rimaste Tampa e Taty. Un gruppo di italiane che s’assottiglia sempre di più e con l’approssimarsi della Coppa Italia perde anche Bellucci per infortunio e in panchina va Brattelli reduce dalla rottura del crociato e appena operata, zoppica vistosamente e non ha il tutore, per non far mancare il numero di “formate” minimo previsto dal regolamento di quest’anno.
Sei in Spagna ma qui in città continua a girare la voce, insistente che tu abbia preso una parte dell’accordo in misure importanti e che per questo sei rimasta fino alla fine.
“Lo so, invece la verità è che non ho preso nulla, anzi. Devo ringraziare tutte le persone di questa splendida città che mi sono state vicino in questi mesi, che mi hanno aiutata anche materialmente. Dovrò sdebitarmi con loro e non solo emotivamente. La società continuava a ripeterci: vi farò sapere. Impossibile restare serene in un clima d’incertezza come quello. Dalla Spagna ho provato in tutti modi a trovare un accordo con Matteo (Iannascoli) alla fine ho affidato le pratiche a un avvocato. Ho lavorato lì per sette mesi, aspetto di essere retribuita per questo. Ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, di quanto siano false le voci che ho dovuto ascoltare per mesi. Le conosco, dicono che preso gran parte del mio accordo alla firma, in estate. In verità ho ricevuto due solo due mensilità in sette mesi. Quelle stesse persone dovrebbero spiegarmi perché mi sono dovuta affidare a un avvocato se quei soldi li ho già presi. Sono stanca delle bugie e di chi ha tradito la parola data. Ora basta”.
Parliamo ancora un po’, della sua esperienza spagnola. Ci racconta come è stata accolta, il momento della stagione che sta vivendo lì e quando le chiedo se tornerà in Italia a giocare mi dice con un sorriso un po’ amaro che ha firmato per due stagioni.
La notte sta arrivando veramente in fretta, due ore sono volate via e mi ricordo che dobbiamo ancora cenare.
Abbracci e saluti.
I portici del centro città, le luci gialle di questa notte di tarda primavera.
Vado via con la stessa sensazione di quel giorno di marzo. Della fine di un sogno spezzato dall’ingordigia, dall’approssimazione e dalle bugie.
Quel giorno durante la partita Pescara – Cagliari mi sono sentito come quelli a cui chiedono del vicino che impazzito ha massacrato la famiglia e risponde “avevo sentito delle urla ma non ho chiamato la polizia”.
Stanotte invece, con questi appunti stretti nel mio taccuino digitale mi sento meno in colpa, meno pavido.
Ho sempre temuto che arrivasse questo momento, quello nel quale scrivevo una storia senza un lieto fine, una storia dai contorni foschi e cupi.
“Ho creduto nella parola data, per me è molto importante”.
Sono passati oltre dieci giorni e non riesco a scrollarmi dalla mente il suono di queste parole e quegli occhi neri rassegnati e delusi che ci guardavano senza distogliersi mai.
Su Pescara oggi splende il sole, la gente inizia ad affollare la spiaggia.
Le ragazze del Pescara sono quasi libere da un sogno che è troppo presto diventato un incubo, sportivo e di vita.
Qualcuno ha scritto che quando vinci festeggi e quando perdi impari qualcosa.
Durante questa stagione sportiva abbiamo sicuramente, tutti, imparato qualcosa.
C’è bisogno di regole certe, di coscienza contrattuale e non solo.
C’è bisogno di controlli.
C’è bisogno di tornare a dare valore alla parola data, alla stretta di mano e alla vita delle persone.
Non doveva finire così.