
La mattina, quando esco di casa presto, incontro sempre qualcuno che di corsa sfreccia da un angolo all’altro della città, pantaloncini e scarpe da runner, se succede durante le festività mi sento ancora più in colpa, tipo a Natale. Io sto andando a mangiarmi il mondo per poi sprofondare nel divano e qualcuno anche oggi non molla di un centimetro sul programma di allenamento, che si stia preparando per una competizione oppure a sfidare se stesso, non fa differenza, almeno credo.
Al primo Semaforo rosso spingo freno e frizione, prendo una sigaretta ed abbasso il finestrino, cerco una canzone che dalla radio possa darmi il buongiorno, se fossimo nel 1982 probabilmente ci sarebbe Claudia Mori a cantare “non succederà più” ma siccome siamo diretti a Los Angeles sarebbe più plausibile una radio che trasmetta Just An Illusion che poi tanto bene si sposa con quel che sta per accadere.
Searching for a destiny that’s mine – Cercando un destino che è mio
There’s another place another time – C’è un altro posto un altro tempo
Touching many hearts along the way, yeah – Toccando molti cuori lungo la via, si
Hoping that I’ll never have to say – Sperando che non avrò mai da dire
It’s just an illusion, illusion, illusion – È solo un illusione, illusione, illusione
Follow your emotions anywhere – Segui le tue emozioni ovunque
Is it really magic in the air? – E’ veramente magia nell’aria?
A destra tra il marciapiede e qualche aiuola poco curata, all‘improvviso sbuca una donna sulla quarantina, canotta rossa, cappello bianco in testa e scarpe da runner, non è aggraziatissima nel suo incedere, la osservo e penso a Gabriela Andersen Schiess, ovvero la donna che riuscì ad ammutolire 100mila persone per 5 lunghissimi, sgraziati, drammatici minuti.
Sciatrice o meglio istruttrice di sci, la Svizzera natia su questo deve esserle sicuramente stata d’aiuto, ma Gabriela ha sentito dire che a Los Angeles nel 1984 per la prima volta nella storia delle olimpiadi ci sarà una nuova disciplina, la Maratona femminile.
Dopo tante discussioni il CIO ha ceduto, nessuno era convinto che uno sforzo così grande potesse essere sostenuto da un fisico femminile, o meglio questo era il pretesto con cui si cercava di non inserire la maratona femminile tra le discipline olimpiche.
La realtà come sempre smentirà ogni pregiudizio ma sopra tutto ci regalerà una storia di un’emozione dilaniante e commovente, nonostante non ci sia una vittoria di mezzo e neanche il senso estetico del gesto tecnico, anzi c’è la sofferenza che tormenta tutti quelli incollati alla tv per i 5 minuti più intrisi di insegnamenti, più drammatici sportivamente parlando e più carichi di significato che si possano ricordare.
Una lezione di vita per chi crede che ci sono dei limiti oltre i quali è impossibile andare.
Gabriela non è una sprovveduta, ha già vinto due maratone negli anni precedenti ma certo le olimpiadi sono un’ altra cosa ed in più è sulla soglia dei 40 anni, insomma vuole solo correre per la gioia di liberarsi poi venga quel che venga anche se le aspettative per fare un risultato dignitoso ci possono pur stare.
La Andersen salta l’ultima stazione di rifornimento, ad oggi non si sa se per distrazione o per una scelta che si rivelerà fatale, siamo in California ed è il 5 di agosto, l’umidità è altissima, lei comunque non sta sfigurando è nelle prime 30, la regia ovviamente però è con le inquadrature già dentro lo stadio, la Benoit atleta di casa taglia il traguardo per prima, mano a mano cominciano ad arrivare gli altri, un pubblico ormai annoiato assiste alla passerella finale, di tanto in tanto sbuca un pettorale dal tunnel e scatta l’applauso di rito, forse anche un pochino banale.
All’improvviso dallo stadio si alza un brusio, dal tunnel compare Gabriela, ha un incedere lento e sgraziato, sembra ripiegarsi su se stessa, completamente disidratata, ha le gambe paralizzate ed il busto asimmetrico, non cammina, praticamente si muove a fotogrammi, si lanciano su di lei i giudici ed il personale medico, con le ultime forze fa cenno a tutti di non toccarla.
E’ qui che il mondo davanti alla tv ed i 100mila assiepati nello stadio si fondono in qualcosa di unico, straordinariamente drammatico, di un’ intensità assoluta.
Chiunque assiste da casa o dalle gradinate prova gli stessi spasmi, la stessa fatica, lo stesso istinto di non mollare di quella ragazza che cerca di trascinare il suo pettorale fino al traguardo.
Manca il respiro a tutti, siamo milioni tra stadio e tv con dolori lancinanti, sospesi tra il crollo e l’impresa, braccia ciondolanti e passi impercettibili non verso il podio o una medaglia ma in direzione ostinata e contraria, dove conta anche aver realizzato un proprio sogno, un’intima promessa a se stessi.
E’ l’ultimo giro di pista, Gabriela impiegherà 5 minuti a finirlo, un’ eternità, un fotogramma dopo l’altro, muovendo impercettibilmente i muscoli, il busto, vederla provoca sofferenza, tutti sono convinti che stia per crollare al suolo rovinosamente, tutti tranne lei, mentre tutto lo stadio segue in un clima surreale, tutti in silenzio, tutti soffrendo insieme a lei fino alla fine, barcolla, non c’è più un muscolo o arto del corpo che risponda a quel che lei vorrebbe.
Taglia il traguardo crolla a terra, adesso si che possono aiutarla, lei riesce solo a portarsi le braccia al volto, ha vinto contro se stessa e quella sfida personale di portarla al termine, costi quel che costi, potesse anche non assistermi più il corpo, sarà la mia testa a portarmi al traguardo. Anni dopo disse che tante altre persone avrebbero fatto la stessa cosa al suo posto, dal campione al dilettante, tutti nessuno escluso, nella vita vorrebbero poter dire a se stessi di aver concluso un’ olimpiade nella loro carriera.
La cosa paradossale è che della maratona di Los Angeles 1982 in pochi hanno memoria di chi abbia vinto ma tutti hanno nella mente la forza di volontà e la tenacia della ragazza Svizzera che da li in poi sarà sempre ricordata come l’eroe della maratona femminile.
“Perché quelli come me la maratona de Roma la fanno pensando che potrebbero pure vince, perché quelli come me a gioca a calcio a 5 ce vanno col nervosismo de uno che se va a gioca’ la Champions League e poi magari stai in pizzeria con gli amici, fai le porte con le molliche de pane e te metti li, io ho tirato qua;
e poi finisce che vai a letto deluso per un gol stupido che te sei mangiato a un torneo del cazzo.
Perché quando vedo in televisione uno con la medaglia al collo sul podio, piango Eva, piango tutto l’inno ma no perché ha vinto, perché penso a 4 anni di rinunce, sacrifici di fatica di sudore per arrivare la.
Perché quando vedo uno stadio intero che batte a tempo le mani per aiutare uno ad alzarsi mezzo centimetro di più, io me emoziono.”
Sai quando si dice che non esistono limiti tranne quelli che ci imponiamo da soli, sai quando a volte si dice, non ce la faccio sono troppo stanco, sai quelli che dicono nello sport conta solo vincere!
Sai quanta forza può avere una donna all’interno di se?
Beh se non lo sai e te lo stai domandando chiedi chi era Gabriela Andersen Schiess.




