Sport

La caduta degli dei

In queste pagine parliamo sempre della magia dello sport, delle emozioni che ci regala, dei sogni che ci fa fare e delle bellissime storie di campioni più o meno noti. Quando qualche giorno fa mi sono svegliato ed ho letto dello scandalo del cricket in Australia le mie convinzioni, che porto dentro da bambino, sono iniziate a vacillare. Eppure sono grande, non sono più un bambino e so che le favole non esistono ma sono solo il frutto di fervida immaginazione.

Questi, intanto, per chi non li sapesse, i fatti: durante una partita contro il Sudafrica, tre giocatori sono stati sorpresi a barare scatenando un’ondata di indignazione e sconcerto nel Paese, l’Australia, dove il cricket è di gran lunga lo sport più amato e seguito e nel quale proprio gli australiani sono considerati i più forti del mondo. A rendere l’episodio ancora più grave è il fatto che a barare siano stati i tre esponenti di punta della nazionale: il capitano Steve Smith, il suo vice e primo battitore David Warner e Cameron Bancroft. I tre sono stati immortalati dalle telecamere mentre nascondevano nei pantaloni pezzetti di carta vetrata con la quale sfregare la palla per dare ai propri lanci una traiettoria imprevedibile. Il trucchetto si chiama ‘ball tempering’ ed è considerato dal regolamento internazionale del cricket un’offesa di secondo livello.

Adesso il capitano ed il suo vice sono stati sospesi per 12 mesi, mentre il giovane Bancroft è stato sospeso per 9.

Come tifosi, come appassionati di sport, siamo sempre pronti a perdonare i nostri “idoli”, arriviamo alla follia di considerare i nostri eroi sportivi come venerabili. Ma, ad un certo punto, ci troviamo di fronte alla sconvolgente, se non schiacciante, scoperta che, a parte la piccola differenza del loro atletismo ed etica del lavoro che ci sembrano ampiamente superiori alle nostre, questi uomini e donne sono altrettanto imperfetti come il resto di noi. Ricordo ancora oggi la terribile notizia che Ben Johnson aveva fallito un test antidroga dopo la sua prestazione sui 100 metri a Seoul nel 1988. Se, per me, non era proprio il giorno in cui lo sport moriva, era il giorno in cui qualcuno mi aveva preso a calci nello stomaco lasciandomi senza respiro.

Nel 1988 avevo ancora 10 anni ma adesso, più grande e forse più cinico, so che abbiamo delle aspettative ingiuste nei confronti di questi campioni che vorremmo fossero sempre dei modelli di comportamento ma che invece non sono altro che il riflesso della nostra società. E così, in mezzo ad una moltitudine di uomini e donne oneste ci sono anche le uova marce, teppisti, imbroglioni, pervertiti e, a volte peggio, esponenzialmente peggiori, abusatori domestici, stupratori. Così la maggior parte di noi tollera e sopporta questa realtà pensando (spero solo alcuni ma non lo so!) che per godere e apprezzare il talento sportivo – qualsiasi tipo di talento – non sia necessario trovare una corrispondenza nel comportamento e nella morale.

Come già detto siamo propensi al perdono, tendiamo ad essere più tolleranti, più tolleranti ai difetti di coloro che giocano per i nostri team. Basti pensare al calcio, ma non solo, dove si è pronti a crocifiggere il giocatore avversario qualora commetta un fallo o un gesto ritenuto non di “fair play” nei confronti dei nostri idoli, per poi essere subito pronti a giustificare lo stesso atto se compiuto da un nostro giocatore!

Certo vedere il capitano Smith piangere davanti alle telecamere di tutto il mondo, chiedere scusa e trovare il gesto consolatore del padre che gli mette una mano sulla spalla mentre ammette di aver deluso in primis i suoi genitori ti riporta alla realtà. Anzi ti suscita quel sentimento di perdono che siamo pronti a tirar fuori ogni volta verso i nostri idoli anche quando sono nel buio più totale.

Sei in empatia con loro perché non riesci a distaccarti dall’essere prima di tutto un fan. Ma dobbiamo vedere la realtà con distacco, prendere consapevolezza che lo sport non può e non deve tollerare gesti, imbrogli come quelli della nazionale australiana. Non si tratta di soldi, sponsors o altro… si tratta di semplice credo sportivo, di provare a vincere ma secondo il concetto del “che vinca il migliore”!

Il concetto di gentiluomo britannico si è incenerito in una giornata, in uno slow-motion ripreso dalle telecamere di tutti i Paesi del Commonwealth e non solo. C’è di mezzo il retaggio vittoriano, l’imperativo morale di giocare secondo “la lettera e lo spirito” dello sport. Il concetto di gentiluomo britannico, il fair play, la convinzione che l’onestà nello sport sia la metafora dell’onestà nella vita, la storia e l’opinione che un Paese (l’Australia in questo caso) ha di sé. “Advance Australia Fair” dice l’inno, avanza bella, ma anche giusta, Australia. Parole che, in questi giorni, sembrano una presa in giro.

Adesso si cancella tutto, si riparte. Anche l’allenatore, Darren Lehmann che in un primo momento aveva detto sarebbe rimasto alla guida della nazionale, ha rassegnato le dimissioni per dare un segno tangibile della necessità di riscostruire un movimento che adesso ha perso la faccia.

 

Ed è un allenatore in lacrime che, se da un lato prende anche le parti del Capitano Smith, a detta di molti l’unico giocatore affabile di un team pieno di arroganti, dall’altro condanna fermamente l’accaduto confidando in una ricostruzione. Significativo il fatto che il vero artefice di tutto questo scompiglio, il giocatore David Warner, ancora non abbia rilasciato interviste ufficiali a parte quella rubatagli in aeroporto dove, insieme alla moglie ed alle due figlie piccole, dichiara che la sua priorità adesso è quella di portare a letto le bambine.

La federazione australiana di cricket scrive ai suoi fan: “Riconosciamo quanto siano importanti i fan per il nostro gioco, e questo processo (di investigare sugli eventi in Sud Africa) è l’inizio per ripristinare la tua fiducia nel cricket australiano”. In altre parole, non lasciare che tutto questo scandalo scuota la tua fede. Non andare da nessuna parte.

Varrà per tutti?

 

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