Peach Bowl 2017, in campo s’affrontano UCF, University of Central Florida, imbattuti con dodici vittorie e campioni ACC, l’American Athletic Conference (il loro “girone”) e Auburn, college con un blasone di livello nazionale capace di vincere diverse volte il titolo nazionale e sfornare giocatori professionisti con continuità.
Se m’importasse davvero solo il risultato dell’evento sportivo probabilmente il mio contributo sarebbe terminato dopo le prime tre righe, così come si usa spesso fare tanto per attirare qualche click.
Rimango incollato al monitor, guardo le immagini in diretta e qualcuno nella difesa di UCF attira la mia attenzione, cerco di capire se quello che vedo è reale o solo un effetto ottico.
Lo guardo mettersi al centro della difesa, su quello che nel football americano si chiama “lato forte”.
Ora è in campo aperto per un tackle ma c’è qualcosa che non va, qualcosa che non dovrebbe essere possibile.
Afferra l’avversario da dietro, lo getta a terra e torna ad incitare i compagni. Le braccia al cielo per festeggiare una azione ben riuscita. Osservo le sue mani, quella destra c’è. Il mio sguardo corre a sinistra, arriva fino al polso e poi nulla.
Non è una partita di beneficenza questa, è una partita che assegna un titolo, un Bowl Nazionale.
Potrebbe funzionare come trovata pubblicitaria ma il numero 18 è in campo sempre, in tutti gli “snap” difensivi, in ogni singola maledetta azione.
Il football americano universitario e poi quello professionistico rappresentano il pinnacolo di un vasto movimento.
Tutti possono giocare a football a livello scolastico, salvo poi scontrarsi con una realtà che conta solo 130 Università “Division I” e 65 borse di studio per atleti per ogni squadra. Volete sapere quanto è difficile diventare professionista? Ecco a voi qualche dato, esistono solo 32 squadre professionistiche e 53 atleti per squadra.
Fate pure voi i calcoli.
Una di queste squadre ha deciso di puntura su un ragazzo al quale manca una mano, in uno sport che si gioca con le mani.
Lui è Shaquem Griffin e questa è la sua storia.
St. Petersburg, Florida.
Le urla di un bimbo squarciano il tranquillo sono in questa casa ai confini di una piccola cittadina americana.
“Fa maleeeeeeeeeeeeee” e la voce del suo bimbo, Tangie Griffin salta giù dal letto e corre verso la camera dove i suoi gemelli di quattro anni dividono un letto a castello.
Potrebbe essere Shaquem che è rimasto di nuovo incastrato con quello che rimane della sua mano sinistra nella struttura del letto.
La paura negli occhi quando trova il letto del suo piccolo vuoto.
Ancora quel grido lancinante a scuotere la notte.
“Fa maleeeeeeeeeeeee”.
Corre in cucina. Il suo piccolo ha deciso di risolvere da solo il problema, ha un coltello in mano ed è pronto a tagliarsi via quello che resta delle sue dita deformi.
Tangie afferra il coltello e riporta il suo piccolo bimbo, disperato e in lacrime a letto. Riesce a farlo addormentare e lo tiene stretto a sé.
Il mattino successivo chiama il suo medico, non avrebbe aspettato altri sei mesi per l’operazione. Avrebbero dovuto amputare la mano del suo piccolo quello stesso giorno.
L’unica raccomandazione del chirurgo al piccolo dopo l’intervento fu: “niente football e cerca di tenere le bende pulite”. Nel primo pomeriggio trascorso a casa, come tutti i bimbi esce a giocare con il suo fratellino più vecchio di lui di soli sessanta secondi.
Al ritorno a casa, c’era sangue su tutta la sua benda e teneva un pallone da football stretto tra la mano e il moncone. “Il sorriso più grande che ho visto mai stampato in viso a mio fratello”, questo il ricordo di Shaquill.
Era il 1999.
Un esame agli ultrasuoni durante la gravidanza di Tangie Griffin aveva rivelato una banda fibrosa avvolta intorno al polso sinistro di uno dei gemelli. Una condizione clinica quella, che avrebbe impedito lo sviluppo corretto della terminazione dell’arto del neonato. Le alternative proposte comportavano maggiori rischi, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di entrambi i feti.
Così due coraggiosi genitori decidono di accogliere nella loro vita un bimbo che ha davanti una strada in salita. S’impegneranno a non trattarlo come se la sua affezione fosse un ostacolo o un problema.
Non è stata una infanzia facile, non per un ragazzino di colore nel sud della Florida con una mano amputata.
I bimbi sanno essere crudeli come solo gli adulti malvagi sanno essere. Si sarebbe potuto arrendere, in fondo quanta forza può esserci in un bimbo?
Scopriamolo.
Quanti adulti conoscete che si nascondono dietro alla loro malattia, che la usano come giustificazione ai loro fallimenti o come contenitore per la loro insensata rabbia?
Al piccolo Shaquem è stata concesso un dono prezioso, il sostengo dei suoi genitori.
Quando il papà lanciava la palla da football ad entrambi con la stessa intensità, non era permesso a Shaquem di usare la mancanza della sua mano sinistra come ragione per le prese mancate.
Ha imparato ad allacciarsi le scarpe prima di Shaquill, a salire sugli alberi per raccogliere l’uva che poi faceva raccogliere al fratello.
Voleva giocare running back alle superiori e allora il suo papà gli ha chiesto di dimostrare che fosse capace di tenere la palla stretta come i ragazzi che hanno entrambe le mani.
Nonostante gli sforzi di papà Terry questo ragazzino di 14 anni svolazza al vento ma resta attaccato al pallone.
Quando arriva l’adolescenza e la necessità di allenarsi anche in sala pesi, il garage di casa Griffin diventa il terreno per gli esperimenti meccanici di Terry, che da bravo papà cerca di mettere in condizione i suoi ragazzi di compiere i medesimi esercizi.
Crescono in maniera esponenziale, diventano un metro e novanta per 103 chilogrammi di muscoli. Le grandi università non tardano a presentarsi per assicurarsi le loro prestazioni sportive.
Cercano Shaquill, uno dei cornerback più forti degli Stati Uniti, una sicura star universitaria. I fratelli però si erano fatti una promessa, sarebbero andati nello stesso college.
UCF decide di concedere ad entrambi una borsa di studio ma seppellisce tra le riserve Shaquem.
In entrambi cresce il sospetto che l’unica ragione per la quale sia stato offerto un posto in squadra all’altro gemello sia stata la garanzia di avere in squadra la vera star, quella con entrambe le mani.
Se però c’è una divinità che si occupa di sport, questa fa concludere la stagione all’allenatore che li ha reclutati con l’inganno con un misero 0-12. Zero vittorie e dodici sconfitte. Un capo allenatore così è destinato solo a fare le valigie e a sgombrare il suo ufficio.
Il nuovo coaching staff si accorge che Shaquem ha una mano sola durante lo Spring Camp, in primavera durante il precampionato. Il nuovo capo allenatore sta cambiando la difesa ha bisogno di un giocatore con quelle caratteristiche fisiche per inchiodare gli avversari che scorrazzano nel immediato backfield difensivo.
Shaquill già una star tra i professionisti nelle file dei Seattle Seahawks, attende di essere raggiunto dall’altro gemello e intanto guarda finalmente il suo gemello prendersi il posto in campo che gli spetta.
“Invece di attraversare semplicemente la porta che conduce al professionismo, ho deciso di buttare già l’intera porta”.
Questa frase descrive la straordinaria stagione di questo atleta ventiduenne, capace di dominare gli avversari nel suo ruolo.
Ma non è tutto in questa ultima stagione.
Nella sua prima stagione da titolare mette a statistica un intercetto e tre fumble recuperati. Lo scrivo ancora per essere sicuro che abbiate letto bene: un intercetto, con… cioè senza la mano… insomma “with non functional hand”.
Segnatevi questa data: 29 Ottobre 2016.
Shaquem si è rotto una mano, l’unica che ha. Applicano una protezione gessata, non può giocare contro Huston.
Segue la squadra, nell’immediato pre partita decide che non lascerà i compagni di squadra soli. Si reca nella stanza del medico e taglia via il gesso, “posso giocare ora”. Lo staff medico applica una protezione più leggera alla mano destra e rassicura l’allenatore, può andare regolarmente in campo.
UCF perde 31 a 24, lui mette a segno due sack e mezzo, 14 tackles un fumble ricoperto e un intercetto.
Ricordate “non functional hand”, ecco è successo quel giorno.
Qualcuno è capace di giocare con una mano sola, qualcuno è capace di farlo senza usare le mani.
La sua attitudine allo sport è una attitudine alla vita.
Quando è stato offerto a questo ragazzone della florida un permesso per il parcheggio per i disabili, lui ha cordialmente ringraziato ma declinato l’offerta.
“Non è una deformità fino a quando tu non la fai diventare tale.”
Con questa attitudine incontra spesso i ragazzini in cura presso un laboratorio finanziato da ex-studenti di UCF che si occupa di costruire protesi usando stampanti 3D.
“Cerco di ricordare loro che non sono definiti da cosa manca al loro corpo. Se riesco ad aiutare anche solo uno di questi bambini, spero che lui ne aiuti un altro e poi un altro che poi ne aiuterà migliaia”.
Nel prossimo draft, quando i giocatori dei college saranno scelti dalle squadre professionistiche, immagino di vedere un general manager saccente dare una occhiata al braccio sinistro di Shaquem e dire “No, non lui”.
Sarà solo una opportunità per un’altra squadra di assicurarsi le prestazioni sportive di un atleta che attende da quando era bambino di poter dimostrare che può farlo.
“Waiting for somebody to say, ‘You can’t do it”