Storie

Feritoie del Pallone – Neka

“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni.”

Paulo Coelho  (Le Valchirie, 2010)

Settembre 2009, dopo anni trascorsi sulle panchine del maschile, accetto di allenare una squadra di futsal femminile: il CF Pelletterie di Scandicci. Un’esperienza nuova, che negli anni, tra gioie e dolori, mi trasmetterà una grande passione. In quel settembre siamo  invitati per un’amichevole a Preci, un borgo medievale in provincia di Perugia, nei mesi scorsi, martoriato senza pietà dal terremoto, che ha messo a dura prova la popolazione locale.

Conosco lì per la prima volta Jociane De Mello Neckel  in arte Neka. La squadra comprende, oltre a lei, altre giovani giocatrici brasiliane tra le quali Juliana Bisognin e Joseane Pinto Dias. Nella palestra di Preci, fin dal riscaldamento pre partita, mi rendo subito conto che andiamo a scontrarci con delle “marziane”. Il loro modo di  accarezzare la palla con la suola come solo i Brasiliani sanno fare, è ai miei occhi strabiliante. Non riesco a contare le reti subite durante la partita, il pallone sembra non toccare nemmeno il parquet, posso solo vederlo in fondo alla rete, dopo qualche… infinito giro di samba.

Neka mi colpisce subito; è la più piccola di statura ma emerge per agilità e forza. I capelli corti, pettinati dritti verso il cielo con un ciuffo colorato, a far da cornice a due occhi vispi pronti a riconoscere in anticipo, le molteplici soluzioni per andare in rete con quel mancino, calciato in controtempo, che paralizza il portiere, costringendolo a guardare da fermo, la palla che rotola in rete.

Neka

In tutto il Sudamerica, il calcio arriva con il flusso migratorio europeo e da sport d’élite, man mano si propaga alle classi popolari. Quando questa alchimia si realizza in Brasile, accade qualcosa di magico; “….così nasceva il calcio più bello del mondo, fatto di finte di corpo, andature oscillanti e voli di gambe che venivano dalla capoeira, la danza guerriera degli schiavi neri e degli allegri briganti dei sobborghi delle grandi città”, scrive Galeano.

E’ bello immaginare che a questa evoluzione del gioco più bello del mondo, concorra una moltitudine di Italiani. Subito dopo l’Unità d’Italia (17 marzo 1861) infatti, milioni di cittadini della Penisola, si ritrovano in condizioni d’indigenza e povertà estreme. In tantissimi scelgono come meta il Sudamerica, molti il Brasile. Ad oggi si stima che il 15% circa della popolazione brasiliana, abbia origini italiane, in particolare nella zona del sud,  sud –est del Paese. La storia narrata da Neka, riallaccia quel legame indelebile tra Italia e Brasile.

Jociane De Mello Neckel nasce il 3 Novembre 1983 a Dois Vizinhos (Brasile). E’ lei stessa che ci guida, in una delle più giovani città brasiliane; “Dois Vizinhos è una città relativamente nuova, nata negli anni cinquanta, fondata da emigranti dello Stato del Rio Grande del Sud . Sorge in una zona boschiva attraversata da un fiume che porta lo stesso nome. L’origine della denominazione Dois Vizinhos deriva dalla  vicinanza di due comunità, che si uniscono per fondare il primo nucleo cittadino nel 1961, con una Chiesa ed un Ospedale,  a quel tempo interamente costruito in legno. La regione, di cui Dois Vizinhos è una delle città più importanti, comprende una vasta aerea del sud del Paraná quasi al confine con le frontiere di Paraguay e Argentina. “La mia città”, prosegue Neka; “è considerata la capitale nazionale del pollo, con una produzione annuale di oltre 130.000 tonnellate della sua  carne,  conta più di 36 mila abitanti ed è in continua crescita vista la grande espansione a livello urbano degli ultimi anni”.

Neka

Affondano qui le radici di Neka e della sua famiglia, alla quale lei è legatissima e di cui parla con orgoglio; “Vengo da una famiglia operaia” sussurra Neka;sono molto orgogliosa di mio padre e mia madre perché hanno sempre fatto tanti sacrifici partendo da niente. Mio padre è un operaio qualificato in una azienda molto grande che si occupa di mangimi per animali, è un uomo tenace che ha saputo, con il sudore e la volontà, guadagnarsi la fiducia e il rispetto all’interno della propria azienda. Mia madre è una donna rigorosa che ha uno spiccato senso  della famiglia molto grande. Lei non voleva che andassi via da casa, ma poi capì e oggi è felice per me, per quello che sono e per quello che sto facendo. Poi mio fratello, anche lui  un gran lavoratore con cui ho avuto sempre un bellissimo rapporto ed è anche papà della mia “peste” preferita ovvero mio nipote, che  adoro!”

Neka è un’atleta che ha sempre mantenuto un profilo umile in campo; mai vista andare sopra le righe o irridere l’avversario. Le sue origini ne spiegano il perché e non solo, anche il suo smisurato amore per il pallone si sviluppa in un ambiente sano, quello della comunità in cui vive; “Chi mi ha fin da piccola insegnato a giocare è mio padre, in verità lui avrebbe voluto un maschio che infatti poi arrivò. Papà mi portava insieme a lui sul campo della squadra dove giocava nella mia città. Stavo tantissimo sul campo di calcio vicino a casa mia perché alla fine vivevo in un posto rurale nel quale  il senso di comunità e di aggregazione era molto alto e diffuso. Ho prima imparato a calciare con il sinistro e poi a camminare!!”

L’immagine della piccola Neka, che tocca il pallone seguita passo dopo passo da suo padre, richiama immagini bellissime, che sembrano di altri tempi. Ancora Neka;” Mio padre ha creduto in me. Lui che giocava a livello dilettantistico e a detta di tutti era bravissimo , non poté fare il professionista perché non aveva alcun sostegno in famiglia.  Dovette cambiare città per cercare lavoro e chiudere il suo sogno nel cassetto. Tutto quel sostegno che mio padre non ebbe, lo ha regalato a me in ogni momento. Mio padre è stato colui che più mi ha sostenuto anche quando sono andata lontano da casa a giocare”.

Neka cresce, affina la tecnica sotto l’occhio vigile del babbo e intanto coltiva i propri sogni di giocatrice. Tifa per Il San Paolo ed ha un idolo particolare. Un idolo che secondo Neka  “è strano a dire perché è un portiere: Zetti” Ma non era strano affatto; Armelino Donizetti Quagliato soprannominato “Zetti”, è stata la colonna di quel San Paolo, che nei primi  anni novanta, vinse tutto ciò che era possibile vincere e Neka rimase colpita dalla sua presenza e dal suo carisma.

La strada di Neka è però il Futsal; a 12 anni indossa la maglia della propria città; “una squadra di sole donne e tutte adulte”. Per giocare il primo campionato ufficiale, Neka si sposta a Quedas do Iguaçu. E’ nella squadra di questa città che a soli 13 anni Neka inizia con le competizioni ufficiali; “Nel Quedas do Iguaçu, gioco per sette anni, lì conosco Pinto Dias e ci sono cresciuta assieme. La squadra da battere è il Londrina dove giocano Nanà e Dalla Villa. Durante questa fase per un anno provo anche con il calcio a 11, nella Juventus di San Paolo ma non fa per me e torno a Iguaçu”.

Neka

Questo è il periodo nel quale Neka, gioca e finisce gli studi superiori, si iscrive all’ Università ma solo per due anni, perché una lieta sorpresa  sta per arrivare; l’Italia. Lei non ha dubbi sulla scelta: ” mi sentivo un po’ italiana, ho quasi tutta la famiglia di origini italiane. Le mie zie ancora parlicchiano il dialetto veneto” Aggiunge poi Neka con tono nostalgico; “Mi dispiace per mio nonno, Andre Belline che non è potuto venire in Italia perché è scomparso due anni prima della mia partenza”,  “Lui” sorride Neka;  ” di origine veneta, in occasione dei Mondiali, tifava l’Italia mica il Brasile” 

Neka lascia così la terra natia per raggiungere l’Italia, terra dei suoi antenati, il tutto avviene in breve tempo. Neka racconta la sua svolta:
“Conosco Damiano Basile e suo padre Raffaele, in Brasile. Erano là per vedere di persona alcune giocatrici; due mesi dopo sono già in Italia assieme a Pinto Dias e Carla Mazzetto, destinazione Preci“. Viene spontaneo chiederle dell’ impatto con il nostro Paese, Neka risponde; “E’ stato molto bello, un mondo nuovo, sono rimasta stupita della Valnerina, dai  borghi antichi, dalle montagne e dalla neve. Prendo la cittadinanza italiana e comincio a giocare con il Preci. Ero una delle prime brasiliane ad arrivare in Italia. Nove anni fa il futsal era molto diverso; si giocava ancora all’aperto e in campi sintetici. Non ero abituata ma per fortuna iniziò un grande cambiamento e in pochi anni arrivò la serie A.  Finirono i 4 anni bellissimi, in Valnerina. Il palazzetto di Preci era troppo piccolo. La squadra il primo anno si sposto’ a Roma. Poi la società realizza un nuovo progetto con la Ternana e siamo ad oggi”

Neka, in questi anni, è caduta più volte; il primo anno a Terni si è rotta il crociato destro e due anni dopo il sinistro. Poi ha superato anche un stiramento di 7cm al polpaccio. Si è sempre rialzata. E più forte di prima. Neka in questi anni ha gioito, con la vittoria dello Scudetto e della Supercoppa, una convocazione nella Nazionale Azzurra, che avrebbe inorgogliosito nonno Belline. Neka non si ferma, Neka è un simbolo perché mantiene ancora il “coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni”.

Gabriele Benedetti

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