Storie

La weltanschauung del nonno tifoso

Vi era un tempo in cui tra gli uomini regnavano l’oggettività e l’imparzialità di giudizio.
Poi nacque mio nonno.
La nascita di mio nonno segnò uno spartiacque decisivo nella storia dell’umanità. Da quel momento gli uomini cominciarono a cambiare prospettiva: l’oggettività lasciò il posto alla soggettività e l’imparzialità si arrese alla faziosità più cieca. In poche parole, mio nonno ha sempre ragione.
Mio nonno si chiama Edmondo. È un pescarese “forte e gentile”, serio e maestoso come i pini d’Aleppo della Riserva Dannunziana, cocciuto e incrollabile come gli scogli della costa adriatica, coraggioso come si addice a un pescatore di Portanuova, un tempo uomo di mare tra la Trinacria le rive egiziane.
Ha due mani grandi, callose e scure, rese ruvide dalle corde e dalle reti ogni giorno ritirate in barca e tirate a mare. Ricordo che da piccola avevo un po’ timore di quelle mani maestose, capaci delle più dolci carezze e dei più rumorosi ceffoni a molla, andata a ritorno, dritto e rovescio.
Mio nonno è praticamente una figura mitologica che assomma in sé le migliori virtù che si addicano a un uomo. Soltanto che, come ogni mito, mio nonno ha un tallone d’Achille: sua nipote (che sarei io, ma di cui parlerò con sufficienza e sereno distacco).
Per Edmondo Papponetti sua nipote è un essere intoccabile, perfetto in ogni sua manifestazione, indiscutibile. Questa visione parziale delle cose si riflette in ogni sua para-argomentazione – considerando la sua avanzata
sordità, non si tratta mai di una vera e propria discussione perché le sue affermazioni non presuppongono risposta – che si conclude sempre con il netto rifiuto di qualsiasi posizione che possa mettere in dubbio l’agire di sua nipote.
Come presumo abbiate capito, mio nonno è il mio più grande tifoso. Appassionato quanto irragionevole. Ogni lunedì lo chiamo per aggiornarlo sui risultati della squadra, ma ogni mio tentativo di narrazione è interrotto dalla sua voce che annuncia la domanda topica, la sua unica preoccupazione:

‘nsomm… hai segnato?

A mio nonno non interessa il risultato finale, non interessa la vittoria e la sconfitta. Della squadra non chiede nemmeno, delle mie compagne non ne vuole proprio sapere. Per lui il calcio a 5 potrebbe essere benissimo uno sport individuale. Nella sua semplicità, nella sua particolarissima visione del mondo, tutto quello che è importante è racchiuso in questa domanda essenziale: ‘nsomm… hai segnato?
E se non ho segnato, la particolarissima visione del mondo di mio nonno giustifica questa grave mancanza con una legge universale, La Prima Legge di Nonno Edmondo:
1.Se mia nipote Benedetta non ha segnato, è colpa delle sue compagne.
A questa legge sono associate alcuni corollari:
1.1 Se mia nipote Benedetta non ha segnato e la sua squadra ha perso, le sue compagne sono delle fesse.
1.2 Se mia nipote Benedetta ha segnato e la sua squadra ha vinto, è merito di mia nipote.
1.3 Se mia nipote Benedetta ha segnato ma la sua squadra ha perso, è colpa delle sue compagne.1.4 Se mia nipote Benedetta non gioca o gioca poco, l’allenatore è uno scemo.
Le verità di mio nonno, ovviamente, si oppongono a qualunque abbozzo di etica sportiva. Con una sola frase è in grado di distruggere quello che per anni e anni educatori e allenatori hanno cercato di insegnarmi, dal momento che il gioco di squadra, per mio nonno, è un surrogato di diverse teorie, secondo le quali la squadra di sua nipote è solo uno strumento finalizzato al raggiungimento del suo successo individuale.
Nonostante le sue teorie anti-sportive, senza mio nonno non sarei la persona che sono e non sarei la giocatrice che sono. Senza di lui non proverei quella gioia incontenibile ogni volta che insacco la
palla in rete, sebbene ciò non avvenga con la costanza che lui vorrebbe. Quando era in grado di venire a vedere le mie partite, la sua sola presenza riempiva la tribuna. Lo vedevo arrivare da lontano, zoppicante. Saliva faticosamente le scale appoggiato al bastone e con calma raggiungeva il suo posto al centro e alla giusta distanza dal campo, per non perdersi nemmeno un’azione, per non avere nemmeno un angolo cieco che gli impedisse la vista. Per vedere se segnavo, perché “principé sìoggi nìn sìgn ti dìng na frec di vangatùn!”.
Nonno è una delle parole poetiche che associo a Futsal. Anzi, probabilmente per me senza di lui non esisterebbe il futsal, non esisterebbe la poesia che di esso colgo, canto e che ogni volta mi commuove, che ogni volta mi rende malinconicamente felice.
Forse uno dei motivi per cui gioco ancora, una delle risposte al “perché lo fai?”, è proprio lui, nonno Edmondo. Dolce, rude, appassionato nonno Edmondo.
p.s.
Sono certa che quelli che hanno letto questo articolo e conoscono il nonno Edmondo, abbiano sorriso più di una volta. E chi non lo conosce, ora avrà la curiosità di conoscerlo.

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