Storie

Vecchio Borgo

Una lenta domenica di settembre, un vecchio borgo bellissimo appoggiato pigramente sulle colline del centro d’Italia.
Due squadre, le maglie della Juventus e dell’Inter, maglioni a fare da pali delle porte.
Un pezzo di parco, l’ombra di vecchi alberi.
L’ho vista così tante volte questa scena eppure non smette mai di stupirmi.
Una voce con un accento della Castiglia,  gli odori di Pasaje Gutiérrez e i colori di Plaza Mayor, sembra anticipi i miei pensieri.
“E’ sempre il calcio”.
Mi volto e lei sorride.

Scrollo le spalle.
“Una religione, ecco cos’è. Ti puoi perdere dentro ai mille rivoli del calcio e fermarti a guardare questi ragazzini darsi dei calci e ogni tanto colpire il pallone. È un sogno, che coltiviamo tutti, quello di avere abbastanza talento, per fare della nostra passione la nostra vita.”
Siamo seduti ad una panchina, una pausa inattesa di quelle però che non ti fanno fare tardi, semplicemente ti offrono una occasione, per guardarti intorno.
C’è il talento, quello sprecato di Balotelli e quello che arriva tardi ma esplode comunque.
Ci sono i posti in Sudamerica dove non arriva nemmeno il telefono, da dove puoi solo partire e poi alla fine forse vuoi anche tornare.
Ci sono quei posti in Belgio che abbiamo in comune, c’è la sua curiosità che è stampata negli occhi.
Il cognome che suona meglio ed è il secondo cognome, c’è la gratitudine e il timore per un futuro che sembra lontano e poi t’arriva addosso come un treno.
C’è che spero che almeno non sia intelligente perché è già bella di suo e un difetto in qualche modo deve pur averlo.
Ci sono i vecchi del paese che si girano a guardarla e lei che scruta in giro cercando la bellezza nei posti che visita.
C’è la scalinata.
Le tre lingue per parlare tra di noi.
Ci sono le foto e c’è quell’attenzione che non è diffidenza ma forse solo paura di fidarsi.
Ci sono gli arrivederci che potrebbero suonare come addii ma non ci pensi e ti volti per tornare a casa.

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