Storie

Fever Pitch – Diario di Viaggio

AGS è un viaggio, ogni viaggio che si rispetti ha un diario, un giornale di bordo.
Ne ho sempre tenuto uno, disordinato e pieno di disegni, di quelli in cui si rappresentano gli omini con il testone tondo e il corpo è fatto di linee nemmeno troppo dritte.
Sarà così questo spazio, come quei disegni.
Terrò un disordinatissimo diario di viaggio, aggiornato quando ci sarà qualcosa da raccontare che non sia “mi è sembrato di aver visto un gatto”.
Un titolo per questa rubrica, che ho scelto per la devozione ad uno dei romanzi più belli mai scritti sulla passione per il calcio, appunto Fever Pitch, in Italia è Febbre a 90°.
Roma.
La pioggia torrenziale e i fulmini che scuotono il “pallone” del Pala Gems. La periferia romana che sembra distante mille chilometri dal centro della città eterna e forse realmente lo è.
L’allarme antincendio che suona mentre la macchina si allaga come in quel giorno di primavera a Ferrara. Non possiamo farci nulla, restiamo qui a guardare.
Ersilia e la maglia della Lazio indosso.
Se non sei di Pescara, se non sei stato seduto sui gradoni di cemento della Curva Nord dell’Adriatico, non puoi capire quanto quell’immagine mi possa mettere a disagio.
Quando arriva a fine partita verso di me, con quella testa piegata leggermente di lato e il suo sguardo luminoso, capisco che non m’importa davvero dei colori che ha indosso.
Non so se avete mai fatto caso agli occhi di Ersilia, dovreste invece prestare attenzione a quello che hanno da raccontarvi.
Ogni volta che la guardo giocare penso “si muove come i giocatori veri, come quelli che vedi su sky sport”, penso che le sue foto in corsa potrebbero ben figurare anche sulle figurine dei atleti degli sport americani, anche sulla copertina di FIFA.
Sullo sfondo c’è Antonia, che vorrebbe essere Tonia ma io mi ostino a scrivere di lei usando il suo nome per intero. Siamo qui per loro. Scrivo “siamo” perché c’è Federica con me, compagna di viaggio e di follie, quella che continua a ripetermi “possiamo farcela”, ogni volta che legge un dubbio nei miei silenzi.
Non ricordo mai i marcatori, non presto attenzione molto al tempo, osservo solo i protagonisti in campo. Questo come altri sport, mi interessano per le storie che i giocatori, attori principali e comparse, hanno da raccontare.
Non che i chilometri non pesano sulle nostre vite e sulle nostre tasche, ma come ripetiamo prima di ogni partenza: “un posto d’oltremare che è lontano solo prima di arrivare”.
Ci saremmo dovuti sentire estranei e invece siamo stati accolti come fossimo di famiglia.
Come la racconto la pizza brasiliana di Lucileia e il dettaglio dei forni che funzionano in maniera differente, del topolino della Nutella di Leticia, delle imitazioni di Tatiane sugli arbitri e che Dayane è una donna simpaticissima e non riesci a fare il paio con l’immagine del giocatore che in campo si gira e tira in porta non importa quale avversario abbia contro. Sara che incassa con un sorriso il fuoco incrociato di battute.
La radio con il pubblico, le risate e le domande scomode, le risposte e i racconti di una vita fatta di istantanee.
Le riflessioni di vita di Antonia, i timori e i sogni e i colori di Ponte Milvio di notte.
Dormiremo qui.
Trovo la foto con il dito puntato verso l’alto che ritrae quell’istante quando in un palazzetto pieno c’eravamo siamo solo io e te, i due bimbi che per parlare non devono usare le parole.
Roma al mattino di Domenica è pigra e bellissima.
Puntiamo verso nord, nomadi nel cuore.
Il sugo di lupini e un paesino da scoprire.
La chiesa cinese e il bocciodromo più grande del palazzetto.
Il gol di Diana.
La parata di Sara.
La pallonata in faccia di Benedetta.
La foto ad Aida.
Tatiane, Lucileia, Leticia, Diana e quella foto piena di libertà e sorrisi, quelli veri che non t’impongono le circostanze ma che ti scappano fuori così.
I saluti odorano di bagnoschiuma e partenze.
Andiamo a casa, o forse siamo appena andati via da casa.

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