Passato un anno, dal calderone infuocato del Vigorelli, alle spiagge assolate di Terracina.
Ilaria, i suoi lunghissimi messaggi vocali, perché non vuole scrivere che poi si perde nei suoi pensieri, il fare su e giù per l’Italia per uno sport di cui in fondo, importa forse solo a noi.
L’ho vista la prima volta in azione, dal vivo, proprio su quel campo nel mezzo di uno storico velodromo.
C’è una scena che si è ripetuta ogni volta che Ilaria è scesa in campo, l’incredulità di chi la vedeva per la prima volta giocare senza la mediazione dei filmati.
Ilaria è insopportabilmente irritabile, incredibilmente esigente con se stessa, terribilmente se stessa.
Ilaria è se stessa, anche quando questo è socialmente inaccettabile, quando la aliena da quella che si considera la normalità.
Ilaria mi ha fatto, ora posso dirlo visto che hai vinto un altro titolo italiano con una nuova maglia numero undici indosso, uno dei regali più preziosi che abbia mai ricevuto.
La sua prima maglia da campione d’Italia, MVP e tutto il resto che ne viene insieme.
Mi sembra sciocco continuare a scrivere usando la terza persona, sei una di famiglia, tuo malgrado.
Non credevo davvero mi facessi un regalo così, invece quella che non è solo una maglia, l’hai donata a me, la guardo ogni volta e non posso che chiedermi perché. Potrei rispondermi che te l’ho chiesta, ma era una frase buttata lì, quasi per gioco.
Ne sono arrivate altre dopo, già dopo la tua, che è lì che troneggia sulle altre.
Non giochi con Federica, ma sei sua avversaria, ti ho visto fare un numero da fenomeno vero, una segnatura che ha cancellato le speranze di finale di tante atlete alle quali voglio bene.
In quel momento, non riuscivo ad essere arrabbiato con te, avevo visto qualcosa di straordinario e se una sconfitta doveva arrivare, almeno c’era voluto un “numero” per portarla a casa.
Mi sono ricordato di quando odiavo Marco Van Basten, il Cigno di Utrecht, poi arrivò quel gol all’europeo contro la Russia, dalla linea di fondo campo direttamente sotto la traversa nell’angolo opposto. In piedi applausi, i fenomeni sono così, alla fine ti fanno innamorare, comunque vada.
Abbiamo parlato spesso del tuo futuro, di quello che vuoi per la tua vita.
Prima della finale, immaginavo di vederti tra qualche anno, fare da scorta armata alla mia sorellona, in qualche parte sperduta del mondo, piagata dalla guerra.
Sarebbe la chiusura perfetta di un cerchio, di affetti e di vita.
Mi hai raccontato del peso di giocare con la pressione di dover essere il miglior giocatore del torneo, perché almeno per quest’anno con la partecipazione di sole cinque squadre, chiamarlo campionato ti sembra un po’ presuntuoso.
Ci sono le tue assenze sportive, quando in campo non riesci ad esplodere tutta la tua carica agonistica, poi mi ricordo che hai solo vent’anni, che pratichi questo sport da pochi anni e quindi ti è concesso essere così.
Ci sono le amicizie, quelle grandi e le inimicizie quelle inevitabili perché non si può essere “giusti” per ogni occasione.
Attraverso te abbiamo avuto l’occasione di conoscere Cristina, che ti imita in maniera straordinaria, Teresa che dopo pochi minuti era come se ci conoscesse da una vita. L’esplosione di vita che vi circonda vi rendere meravigliose.
Eravamo a seguire il beach soccer, lontani centinaia di chilometri, impegnati in una trasmissione radio.
Il nostro racconto della tua partita però ha travolto tutto il resto.
C’è una immagine che mi porto via dalla tua finale, non è il placcaggio che ha spento le speranze di vittoria delle tue avversarie in finale, ma la sequenza degli attimi che lo precedono.
Sei in linea, perché conta essere lì nel momento decisivo. Ti ingaggia un giocatore della linea offensiva, ti accorgi che il gioco va verso sinistra. Gli occhi incollati al pallone, roll out e ti liberi dalla spinta. Qualche passo laterale e il tuo istinto ti dice che quello è l’angolo giusto, un passo in avanti e sposti il peso per portare il colpo.
Nero.
Sipario.
Mi emoziono, anzi ci siamo emozionati, per quello che è un gesto atletico assoluto, come quel gol di Van Basten, come il gol di Michel Platini annullato nella finale dell’Intercontinentale.
Sai cosa rende per me speciale quel momento, aver ascoltato i dubbi e le paure, la rabbia sportiva e la carica agonistica che l’hanno preceduto.
Solo chi non ha il rispetto per il giocatore che sei e ignora la donna che sei poteva pensare di vincere passando con te in campo.
Sarai un grande soldato, come faccio a dirlo?
Un poeta inglese ha scritto: “Non c’è onore più grande per un soldato che porre le sue spoglie mortali, tra la sua adorata casa e la desolazione di una guerra”.
Così hai fatto ieri, hai messo il tuo corpo tra la tua casa sportiva e la desolazione di una sconfitta.
Ho già comprato e messo in fresco i succhi alla pera, per festeggiare con te, un’altra favola con il lieto fine.
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