Sono qui stesa sul letto con la mente piena di pensieri.
Tra qualche ora ho l’esame della patente, domani l’ultimo compito d’italiano, prima della fine dell’anno e poi, poi l’esame di stato!
Malgrado questo, la mia mente si sofferma su quegli attimi trascorsi su un campo da football, anzi, su tanti campi.
Ogni settimana uno diverso.
Sono tanti frammenti di ricordi, quelli composti di uno sport iniziato tre anni fa quasi per gioco e che non pensavo, mi avrebbe portata così lontana da casa.
Per nove anni ho sguazzato nell’acqua di una piscina, odiando ogni tipo di competizione o saggio, con tutti gli occhi puntati su di me.
Ora invece attendo con trepidazione il momento di infilare i calzettoni, gli scarpini, i pantaloni nuovi, a proposito Antonio, sono bellissimi!
Anche se a pensarci bene, si fa una fatica immensa a tirarli su, o salgono quelli o le protezioni, dannazione.
E così già negli spogliatoi hai bisogno di una mano da parte delle compagne di squadra, già, compagne, un gruppo sgangherato di donnine e donnone che da diverse parti dell’Italia salgono sui treni, sulle macchine, sui pullman e partono, cariche di borsette e borsoni, come gli asini.
Ognuna ha dietro di se il proprio percorso, le proprie esperienze , il proprio talento, ma alla fine ci si ritrova in una stessa stanza, anzi in due stanze. Una ormai non basta più a contenerci tutte.
Le guardo e mi chiedo, come sia stato possibile arrivare a questo punto, sacrificare così tanto, per uno sport poco conosciuto: il Football Americano Femminile.
It’s game time.
C’è la partita lì fuori, adesso.
Usciamo tutte insieme dagli spogliatoi, mettiamo i piedi in una specie di campo.
Erba alta, buche piene d’acqua, m’assale il timore di una slogatura alla caviglia.
Mi guardo intorno, cerco la parte del campo con le nostre avversarie. Hanno già l’attrezzatura indosso, si riscaldano.
Poi guardo noi, ora, con la maglia degli stessi colori non siamo più così diverse.
Inizia anche il mio riscaldamento, io e Vale iniziamo a fare un po’ di lancetti, non mi sono mai sentita così tranquilla, sono convinta di ciò che abbiamo provato, delle mie capacità.
Mettiamo su l’attrezzatura, il casco in mano, il cuore si prende una pausa e poi riprende a battere, tutte in fila per il riconoscimento cartellini.
Di nuovo mi accorgo che ne siamo un’infinità, non mi abituo ancora a questa idea.
Metto il casco in testa e mi sento chiamare: “Giorgia qui con la QBessa, Karen e la Wonder”
Mi precipito a bordo campo per le solite procedure, guardo Karen negli occhi, entrambe sorridiamo. Lo stesso pensiero, quello di un anno, quello passato pieno di partite lunghissime e infinite e di mille sacrifici, sole, noi dodici.
Moneta.
Testa o croce.
Noi scegliamo testa, attacchiamo!
Salutiamo le avversarie dandoci la mano e augurandoci buona fortuna. M’incammino verso la nostra side-line, incontro a una marea di colori, vedo una marea di colori, caschi tutti diversi pronti ad impattare l’avversario per un fine comune.
Cariche a mille, pronte a giocare.
Entro come QB nella prima azione, ho immaginato questa scena per giorni e giorni.
Partiamo.
Bum, sono a terra e ho preso una botta alle spalle, non so cosa sia successo ma qualcosa non è andato. Dopo quattro azioni usciamo dal campo lasciando il terreno alla difesa, sto parlando con le mie compagne quando, alle spalle di una di loro, vedo passare una maglia con il mio stesso numero ma del colore delle avversarie.
TD.
Così, senza che mi accorgessi di nulla.
È solo un piccolo errore della difesa che, immediatamente si organizza e dimostra di saper difendere ogni singola yard in perfetta simbiosi.
In attacco, sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stato difficile imparare tutto con i pochi allenamenti congiunti a disposizione.
Il risultato della partita lo sanno tutti.
Alla fine, uscendo dal campo per abbracciare chi, nonostante la pioggia, è rimasto lì a tifare, si resta così, un po’ senza parole.
Non si tratta di delusione, ma dell’incapacità di spiegarsi il susseguirsi di azioni senza guadagno.
Quelle stesse azioni che in allenamento sembravano riuscire e che lì, tra quelle buche piene di fango, parevano inefficaci.
A tutto questo poi si aggiunge poi un pizzico di rabbia, veder volare qualche flag di troppo mi lascia sempre un po’ basita.
È immutata la mia fiducia nella squadra, ferma come quando abbiamo deciso di diventare Chimere.
Malgrado questo inizio incerto, siamo uscite dal campo a testa alta e con la certezza di poter migliorare, per affrontare al meglio la seconda partita contro le ragazze del One Team.
Il nostro destino è tutto ancora da scrivere!
Non credevo fosse possibile creare legami così forti con il resto del gruppo per via della distanza, degli impegni e di un passato diverso, da avversarie.
Domenica, invece, in questa prima di campionato, ho avuto la felice sorpresa di scoprire un fortissimo affiatamento che ci lega tutte.
La carica che ci siamo date a vicenda lì in side-line, è stata qualcosa di unico ed inaspettato per me.
Ognuna di noi crede nella propria compagna, nelle capacità di tutti gli elementi della squadra.
Non manca nulla a noi come gruppo, forse un pizzico di fiducia in più, in quello di cui siamo capaci, come atlete e come giocatrici.
Non ho una ricetta magica, ho solo la ferma convinzione che possiamo diventare quello che vogliamo essere, l’unica via è provare e riprovare fino allo sfinimento i movimenti.
Utilizzare tutta l’adrenalina esplosa nelle incitazioni iniziali e portarla in campo, intatta.
Solo una questione di tempo, di trovare il giusto timing ed emergere per lo squadrone che siamo: le CHIMERE!
