Sono le undici del mattino.
Ho un sonno allucinante, colpa dei racconti di sport, di donne e di pallone che si allungano troppo spesso fino a lambire le luci del mattino.
Cosa ci faccio seduto a bordo campo, vicino alle panchine di un palazzetto di Pescara.
Sono a guardare l’esordio nella Final Eight 2016, dell’Acqua e Sapone e del suo allenatore Massimiliano Bellarte.
Tutti i viaggi, iniziano con una suggestione, questo inizia con un colpo da BOMBER, di quelli veri.
Perché nel calcio, quello dove la palla rimbalza, o in questo dove è più “controllato”, gli uomini e le donne che ti colpiscono sono quelli che escono dai cliquet, che non ti parlano dell’ovvio, non si nascondono dietro ai luoghi comuni. Li puoi ascoltare raccontare i loro pensieri, autentici e genuini.
Un giornalista chiede “Pensa che il suo ciclo (aggiungete ora la squadra che preferite) sia finito?”.
L’odiosa consuetudine del luogo comune sportivo prevede un paio di risposte standard, che in realtà non dicono nulla, sono parole vuote al vento.
Quest’uomo con gli occhi furbi e vivaci guarda il giornalista con l’espressione di chi ha trovato la risposta perfetta, del giocatore che ha visto il passaggio filtrante verso l’uomo libero davanti al portiere.
“Non so se il mio ciclo qui è finito, da quello che ricordo il ciclo, torna ogni ventotto giorni”.
GIOCO,SET,INCONTRO.
APPLAUSI.
SIPARIO.
“Venerdì si va a vedere l’esordio”, dichiaro sicuro e Federica non può che sorridermi di rimando.
Il calcio o il calcio a 5, futbol sala, o qualsiasi altro sport ha bisogno di emozioni, di suggestioni, di storie.
C’è uno strano collegamento tra il campo e gli appassionati spettatori, quel tacito accordo di chi si siede su quei seggiolini con la consapevole speranza che gli sarà raccontata una storia, non importa se bella o brutta. Ci sediamo lì perché vogliamo essere spettatori di quel racconto di sport, per condividere appunto, un’emozione.
Ho visto troppo sport, troppe brutte partite, senza storie da raccontare, senza passione.
Dovrei essere più cinico e sospettoso.
Non ci riesco, alle partite vuole andare quella parte di me che ama sorprendersi come quando ero bambino.
Nel palazzetto ci sono ragazzi da tutte le scuole di Pescara, sugli spalti c’è il sibilo delle grandi occasioni, quell’assordante rumore di fondo che sanno fare i palazzetti quando c’è qualcosa d’importante in palio.
La Coppa Italia 2016.
Il parquet si veste a festa, indossa il nero, il colore delle serate di gala.
Ipnotico.
L’incredibile ragnatela di passaggi, quella poesia nell’arte di controllare il ritmo dell’incontro.
Il riposo con la palla di Josè Mourinho.
Non il tikitaka noioso di Guardiola, sfrontata manifestazione narcisistica di classe e abilità calcistica.
No.
L’arte di dettare il tempo, della partita.
L’abilità di danzare sul campo per offrire al compagno la traiettoria libera per ricevere il pallone.
Il controllo di palla.
Non importa se sono nati a Napoli durante la in un freddo inverno del ’41 oppure a Ruvo di Puglia nel ’77 i profeti, quelli con la parlata sciolta e l’intelligenza affilata, finiscono per sedersi su una panchina nella città che fu di D’Annunzio, a farci tenere gli occhi e il cuore incollati al terreno di gioco.
Guardo l’Acqua e Sapone e fatico a dire chi sia il giocatore con più talento, suonano la loro musica sul campo, ognuno al suo posto, con lo spartito impresso nella mente e nei piedi, ma per ammaliare il pubblico hai bisogno del talento, di quello imprevedibile che sorprende l’avversario suonando all’improvviso lo stesso pezzo ad un ritmo diverso.
Sirena.
Fuori ai Rigori.
Vado via con la consapevolezza di aver visto un grande spettacolo, di sport, di futbòl sala, dispiaciuto per la sconfitta della squadra che stavo seguendo, eppure il cuore mi diceva che sarei tornato a vederli, perché?
Per quella stagione che va da Settembre 1986 a Maggio 1987, ero giovane e influenzabile, scoprii che il calcio può essere poesia.
Perché è stato come vedere un racconto di Soriano prendere vita.
Perché per quaranta minuti il mondo s’è ristretto a quel fazzoletto di parquet nero.
L’allenatore
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