Calcio

On the Sidelines 10

Nonostante il tuo scettiscismo, i medici sono fantastici, un intervento pulito, senza sangue, ti viene spiegato ogni passo. Il rumore del trapano che penetra l’osso, il puzzo di carne bruciata, bisturi elettrico e tendini. Si sveglia appena entri nella sua stanza, lo rassicuri, il suo ciuffo alla moda e attaccato alla testa, intriso di sudore, la paura del futuro negli occhi. Avvicini una sedia al letto, una di quelle brutte sedie metalliche tipiche degli ospedali, lo stridere delle gambe sul pavimento. Sorride e respira a fatica, sembra che cerchi di catturare l’aria e spingerla poi nei suoi polmoni. “Cosa ci fa qui mister?”. “Mi devi ancora dei giri di campo e guarda cosa ti sei inventato per non farli”. Già, il suo viso da bravo ragazzo, quegli occhi furbi di chi è cosciente di avere un dono, la classica indolenza nel sorriso preoccupato, dalla sua, la giovane età. Alla prima partitella d’allenamento non affondava i contrasti, non rincorreva l’avversario, si limitava a cercare la giocata ad effetto, quei dribbling inutili, in orizzontale. Hai fermato l’allenamento e gli hai urlato di giocare come un uomo, sul tuo campo non si danza, si gioca al calcio. Alla ripresa del gioco entra a gamba tesa su un ragazzino della squadra primavera, gli stampa i suoi tacchetti sul ginocchio. Sei furioso “Dio ti ha dato uno dei migliori talenti nei passaggi che abbia mai visto…quello che non ti ha dato sono quei cazzo di tacchetti bullonati da stampare sulle ginocchia dei tuoi avversari”, urli, lì a due passi dalla sua faccia, tutta la tua rabbia. Lo mandi a fare giri di campo. Corre lento, ti manifesta così il suo rancore. Il giorno dopo l’aspetti all’inizio dell’allenamento. “Ieri hai impiegato otto minuti per fare due giri di campo. “Se hai un problema fisico, va risolto. Se si tratta di un problema psicologico, va risolto anche quello”. Lo guardi dritto negli occhi, “In entrambi i casi da oggi ti alleni con la primavera, quando non avrai più né problemi fisici né problemi mentali, torna da me”. Dopo quattro giorni, Parolo torna per scusarti con te, per il suo comportamento poco professionale. Non avresti più avuto problemi con lui. Due settimane dopo Marco Parolo scende in campo con la fascia di capitano.
Hai parlato con i medici, ti hanno spiegato che a livello funzionale tornerà tutto a posto, in quattro mesi al massimo, in tempo per il finale di stagione. Sono preoccupati del recupero psicologico, spesso infatti molti atleti non tornano più quelli di prima, la paura distrugge il loro talento. “Mister”, ti senti chiamare, la stessa voce al cellulare questa mattina. Lo conosci, è uno dei corrispondenti locali del Corriere dello Sport, solo ora colleghi la voce al volto. Ti porge la mano, la stringi con vigore “Grazie”, sorridi. “Non mi ringrazi mister, ma guardi che scrivo che l’ho vista qui…”, annuisci e ti congedi.  “Devo andare, rimettiti in piedi e quando sarai pronto ti voglio di nuovo a guidare la mia squadra”, gli porgi la mano e aggiungi “d’accordo?”. Una stretta forte e non c’è bisogno d’altro, lui ti stringe a se, un abbraccio intenso. Torni verso nord, ripensi a quello che ti hanno detto, a come il ragazzo si è spezzato la gamba, cercando di recuperare in pressing il pallone, l’agonismo che tu gli hai insegnato, ti senti in colpa, per qualche centinaio di chilometri.

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