Softball

Una stagione di fede assoluta – 8

Venerdì 10 Giugno 2016

Le scuole sono finite, ora sono più libera per gli allenamenti, i ragazzi che aiuto con i compiti si sono meritati le loro vacanze.
Gli impegni però non mancano. Riesco a perdermi tra orari dei treni, orari degli allenamenti, corro sempre carica come un portatore sherpa. Raggiungo a fatica quel binario che è ormai registrato tra i miei ricordi, mi sistemo e attendo il controllore. Porgo il mio biglietto, ma è quello sbagliato, quello del 6 maggio, chiedo scusa e cerco quello con la data giusta, trovato. Prima di rimettere i biglietti a posto, noto la mia collezione presente nel portafoglio. Ne contro 13. Tredici andate, 13 settimane, 13 viaggi “Pescara – Porto Sant’Elpidio”. Rifletto sorridendo con me stessa, probabilmente né avrò altri sicuramente sparsi altrove. Stavolta in stazione trovo Milko, uno dei dirigenti della società, mi ha dovuto aspettare 20 minuti a causa di un guasto in stazione, il mio ritardo per gli allenamenti aumenta. Arrivata al campo ho solo il tempo di seguire John, il nostro allenatore, che mi fa fare qualcosa in battuta, tanti swing per cercare di correggere un imperfezione dello swing che mi da qualche problema ultimamente, non mi sento troppo sicura, e mi causa molti pensieri, o meglio, “pippe”. Qualche “fungata” in diamante e raggiungo le altre nello spogliatoio per fare la doccia e andare a cena.
A fare la doccia al campo siamo solo io, Elly e Emma. Stasera abbiamo la cena per i 35 anni del Montegranaro Baseball. Ci prepariamo, noto che loro calzeranno le scarpette da tennis, io invece ho portato una scarpa con il tacco. PANICO. Contatto subito Fiona per chiederle se li indosserà anche lei, bene, non sarò l’unica. Bellissima location, una villa con piscina e giardino, molto elegante.
Ci saranno forse 120 persone, tutti legati in qualche modo alla società.
Luciano, il presidente ci presenta uno per uno.
Io sono la “mercenaria” di Chieti, mi preme però rilevare a ogni occasione, che sono di Pescara, i pescaresi capiranno perché.
Mangiamo bene, tanto, troppo.
Tra una portata e l’altra usciamo a prendere aria e fare due chiacchiere, sembra quasi un matrimonio.
C’è anche la squadra di baseball, mi fermo a parlare con Gianluca, il ragazzo della mela.
C’è Michele, un tifoso molto aggiornato su tutte le giocatrici di softball e il ragazzo che ci fa da DJ durante le partite, io lo chiamavo “l’uomo social” perché è lui che cura la pagina facebook della squadra.

Fa piacere scoprire che c’è un Michele in tutti gli sport di squadra, credo poi in tutti gli sport. Un soggetto in possesso di un’enciclopedica conoscenza di ogni atleta in ogni squadra. Invidio questa abilità, dopo tre anni di football americano femminile, nel quale si contano davvero una manciata di giocatrici, fatico ancora a memorizzarne i nomi. Nel futsal invece, movimento assai più ampio siamo alla tragedia. Non solo non riesco a distinguerle, addirittura dimentico di aver sostenuto una conversazione con loro.  

Qualcuno poi mi chiede, cosa preferisco tra la battuta e la difesa, è sempre una domanda difficilissima, del tipo “vuoi più bene alla mamma o al papà?”, andiamo, è impossibile rispondere.
Forzo una risposta, la battuta.
Probabilmente perché nelle ultime settimane ci sto lavorando tanto, e quindi le dedico tanti pensieri. Si torna a casa, domani trasferta lunghissima a Caserta.

Sabato 11 Giugno 2016

Un viaggio a tappe che prende il via quando il sole è a metà del suo percorso, passiamo da Porto Sant’Elpidio a caricare metà squadra praticamente, tra cui Betty, una giocatrice che conosco per la prima volta. Mi hanno parlato spesso di lei, storie divertentissime. Ad esempio di quella volta che in aereo, fece finta di chiamare qualcuno e parlando con la “r” moscia. Diceva: “pvonto? Quante volte ti ho detto che non devi vispondeve a questo telefono! Comunque pvepava la macchina, siamo quasi attevvate. Sisi ci viconosci, siamo civcondate da bavboni”. Risata generale, è sempre così lei.

Cinque ore, su un pulmino probabilmente senza ammortizzatori, perché sulla superstrada all’altezza di Sora, cominciamo a prendere buche su buche e a fare salti degni del Tagadà, distruggendoci la schiena.

Chiara tradisce implicitamente la sua estrazione prettamente adriatica e pescarese. Nella città che diede i natali al Sommo Vate  D’Annunzio si celebrano almeno due ricorrenze religiose le cui feste sono spesso animate da molti giostrai. Da qui l’epiteto “giostrai e pesciaroli” che può capitarvi di ascoltare in qualche derby calcistico in cui è coinvolto il Pescara. Il Tagadà per l’appunto è una giostra, se pronunciate il suo nome nel capoluogo adriatico, vi assicuro che “Festa di Sant’Andrea e Festa dei Colli” e la risposta automatica che riceverete, un po’ come per il cane di Pavlov.

Tappa in autogrill e mentre aspettiamo che tutte finiscano il pranzo, arriva un pulmino da cui scendono 6 ragazzi, Fiona dice “oh ragà, La Rua”. Lì per lì non capiamo, ma basta che Emma e Elly si girino per guardarli e riconoscerli e scoppia un grido di entusiasmo. Sono un gruppo arrivato in finale ad Amici quest’anno, così ci facciamo una foto tutte insieme con il cantante.

Confesso di aver smesso di vedere amici almeno alla seconda edizione, ringrazio quindi di poter ignorare con aria snob chi siano questi individui. Noto con una certa apprensione che è la seconda volta che la trasmissione  Amici entra in una storia di sport. La Gueli che canta ad Amici, si confesso di aver cercato i video, ma per puro senso critico e a scopo di ricerca e poi fa il suo esordio nella nazionale femminile di futsal è stato l’altro momento “Maria De Filippi” di questa settimana.

Play Ball.
Gioco interbase, battiamo tutte tantissimo, io chiudo con 2 su 4, un doppio  e un singolo a basi piene che mi fanno guadagnare 4 RBI. In difesa faccio solo un out, presa nel buco tra terza e interbase, e tiro in prima per l’eliminazione. Chiudiamo per manifesta inferiorità. Joy batte un vero fuoricampo, bellissimo, sono contenta per lei. La seconda partita gioco in prima, il che mi crea qualche problema a causa di una ferita sul dito medio della mano sinistra che mi fa soffrire non poco a ogni palla che mi arriva nel guantone, resisto, ogni palla penso di dover stringere i denti per chiudere l’azione. Partita che sembra scorrere abbastanza tranquillamente, al quarto inning però, black out, all’improvviso, buio totale sul diamante di San Clemente. Buio vero, di quelli elettrici non sportivi.
Dobbiamo aspettare una ventina di minuti prima di poter riprendere l’incontro, ma è stato bello, sempre un’atmosfera magica, il cielo e la luna fornivano una luce strana che illuminava l’essenziale.
Si riparte.
Fine quinto inning entro a lanciare dopo due basi ball concesse da Fiona, chiudo l’inning con qualche punto subito, sempre uno di troppo comunque. Il sesto invece lo chiudo molto velocemente, 3 battitori, 3 out. Menzione speciale all’ultimo in battuta. Palla su di me, bassa, diretta, potevo prenderla al volo, ma sempre a causa della ferita non riesco a stringere bene il guantone e cade, dalla panchina sento John gridare: “tira uno, tira uno”, mi fido, raccolgo la palla rotolata verso l’interbase, mi giro solo per rendermi conto di dove fosse la prima base, e sparo in prima, out, per un passo.
Al settimo inning stiamo 12 a 6. Sono sul monte di lancio, sento un coretto dalla panchina avversaria “pescarese noma-nomade, noma-nomade”, sorrido sotto i baffi. Gioco con il delfino del Pescara calcio sul caschetto, che tra l’altro giovedì sera è stato promosso in serie A, fiera ed orgogliosa di essere pescarese-nomade [per estensione le comunità rom gestiscono molte delle attività di giostrai, per natura culturale e di lavoro quindi sono nomadi. NdR]
Vinciamo anche la seconda partita.

Al campo di Caserta ritrovo tutti i miei amici e tifosi di quando giocavo lì, li sento molto come pubblico di casa, Ida, Giulio, Gabriella, Gennaro, Efrem, li saluto tutti con nostalgia e i bei ricordi che mi hanno lasciato. Gennaro, mi porta anche una pizza margherita da mangiare in viaggio, non poteva mancare.

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