Softball

Una stagione di fede assoluta – 5

“How can you not be romantic about baseball”

It’s me, Mauro.
Just for one time.

30/4
Montegranaro.
Uno dei rari sabati in cui non abbiamo già un impegno.
Deciso, si va da Chiara.
Le scrivo, chiedendole conferma per l’orario e il giorno della partita.
“Dai non è una bella partita, vieni domenica prossima all’Acqua Acetosa, contro le romane”.
Peccato che la domenica successiva si giochi la semifinale scudetto di futsal e sabato probabilmente, siamo per una utilissima partita di football americano, ad Ancona.
Chiara è così, potrebbe giocare benissimo o malissimo, la prestazione sportiva, però conta farla contro le migliori, in fondo sono tutte brave a giocare bene con gli avversari meno pericolosi.
Chiara tenta perfino di depistarci quando le chiedo l’indirizzo della struttura, “metti campo baseball, lo trovi sicuramente”.
D’accordo Montegranaro non è New York City, però qualche altra indicazione aiuterebbe.
In quell’angolo delle Marche, siamo quasi di casa, la mia tatuatrice è di Macerata, Diana e Piera hanno parenti a Camerino, insomma ci sappiamo orientare anche senza navigatore.
C’è una sorta di feticismo tutto personale nell’andare alle partite, bellissimo poterne godere in diretta dal divano di casa, eppure per me essere sugli spalti ha un fascino ancora insostituibile.
Da casa mi affido allo “sguardo” di un regista, quando invece sono li, posso cercare i dettagli, sentire gli odori, percepire il chiacchiericcio degli spettatori. Vivere l’evento in maniera unica, la mia.

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C’è odore di pioggia, scendiamo finalmente dalla macchina dopo un’ora e mezzo di viaggio.
Bellissimo il campo, sullo sfondo la club house e il campo di baseball, come consuetudine sul lato opposto c’è quello dedicato al softball, entrambi condividono l’outfield.
Due i colori che mi colpiscono.
Il rosso e il verde.
Puoi entrare in uno stadio di MLB, Major League Baseball, la massima espressione di baseball professionistico, oppure arrivare nei pressi di un campo di periferia e questi due colori saranno lì a dominare la scena.
L’erba tagliata alla perfezione, sembra un tappeto da lontano.
Il bianco delle linee del campo e dei sacchetti che indicano le basi, il suono della pallina colpita.
Secco e metallico.
Attendo qualche attimo fermo, manca un rumore, quello soffocato tipico di un guantone che s’avvolge intorno alle cuciture della palla, gli porta via l’aria e la ferma li, in uno sbuffo di terra rossa.
“È tutto giallo”, direbbe una Vanila di soli due anni, con quella sua espressione felice come per comunicarti che è tutto bello, come il colore della palla da softball.
Raggiungiamo la tribuna, dietro alla casa base, Federica m’indica il cielo. È tutto grigio ed io non mi sono accorto di nulla.
Qui ci sono i colori di un’adolescenza passata a dividere il tempo sul campo con gente con indosso “un pigiama” che si lanciava una pallina e la prendeva con una versione troppo grande di un guanto da cucina.
Un semplice invito a provare e ho imparato ad ammirare la coordinazione occhio-mano necessaria per praticare questo sport, a rispettare gli atleti di questa disciplina per lo sforzo mentale necessario per avere successo.
Ci sediamo sui gradoni, salutiamo il papà e la mamma di Chiara, sistemati a pochi metri da noi.
Federica ammira entusiasta i seggiolini di gomma che è possibile spostare e posizionare sul cemento delle gradinate.
Ne prende uno, giallo ovviamente e soddisfatta si sistema in basso vicino alla rete.
Macchina fotografica in mano cerca di raccontare a modo suo, l’amica che siamo venuti a vedere in campo.
Seguo con lo sguardo questa ragazza di Pescara, con un delfino adesivo sistemato sul suo caschetto blu, andare in battuta e attendo il suono della pallina scagliata lontano.
Chiara ha giocato a Caserta, giovanissima, negli anni d’oro della squadra campana, costellati di scudetti e coppe dei campioni.
Se le ritrova ora avversarie in seconda divisione.
Non ho mai visto giocare una versione più giovane di Chiara, mi manca un pezzo della sua carriera sportiva.
Gioca bene il numero due con indosso la casacca del Montegranaro, troppo forse.
Quando il tempo passa, il nostro cervello tende a riportare spesso alla memoria solo i ricordi più felici, lo fa appoggiandosi anche agli odori.
Un profumo di carne arrosto, di salsiccia alla brace, fa completare il cerchio ai miei ricordi.
Ecco, ora tutte le cose sono al posto giusto.
Sono seduto sugli spalti di un campo da baseball, c’è qualcuno al quale sono molto affezionato in campo, dalle mie spalle arriva il profumo del cibo appena cucinato.

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PLAY BALL!
Al piatto oggi Chiara cerca spesso la giocata.
Quella palla è troppo esterna, prende quel rischio perché ha capito che prima o poi arriverà comunque il lancio giusto, che può battere profondo.
Le divinità del baseball però sono dispettose e non sono d’accordo.
Eccolo il lancio che non dovresti nemmeno provare a girare, la palla però è lenta, arriva forse un po’ alta ma pensi di poterla scagliare lontano.
Milleuno.
Ti muovi scomposta per cercare il contatto.
Giri in anticipo, la palla scivola sulla mazza.
Milledue.
Non è il suono giusto.
Guardi davanti a te sperando in un foul lungo il perimetro.
Milletre.
La testa scatta all’indietro, il tuo cervello ha registrato il movimento in arretramento del catcher.
Millequattro.
Abbassi la testa e il caschetto ti scivola un po’ in avanti, sai esattamente cosa sta per accadere.
Millecinque.
Non hai bisogno di guardare. Fissi la terra rossa e le righe del box di casa base.
Sai che il catcher ha il braccio destro proteso verso l’alto, il guantone attende la palla che scende da questo orrendo e lentissimo campanile, la sua mano sinistra ad accompagnare il gesto.
“Easy Out”.

Torni nel dugout, forse ci impieghi cinque secondi, lunghissimi.
Ci sono tanti modi di essere eliminati nel tuo sport, questo è forse il peggiore, perché sai che è solo colpa tua.
Sei riuscita a trasformare gli errori dei tuoi avversari in un loro vantaggio.
Il rumore dei tuoi pensieri arriva fino agli spalti.
“Proprio oggi…”
“Ora ho rovinato la media…”
“Sono stata una sciocca…”
“Allora sono una pippa…”
“Tutti i sacrifici…”
“Fanculo…”

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Tormenti la manica da Mark Lenders della tua uniforme di gioco fino al momento di tornare in campo in difesa.
Giochi con quello sguardo fermo a metà tra l’essere triste ed essere irrimediabilmente furiosa con te stessa.
La partita sembra scivolarti intorno, galleggi e arriva la fine dell’incontro, manifesta superiorità in campo.
Federica ha le sue foto, io ho la mia storia.
Quando ci raggiungi, il tuo primo gesto è piegare leggermente la testa di lato e sorridere come per dirci: “lo so, quell’errore l’ho visto anche io, c’ero e volevo non esserci.”
Ci racconti della tua dieta strampalata mentre affoghi nel sacchetto di nocciole e quasi alla fine annunci, “Mamma ne ha mangiate più della metà”.
Lei è qui e po’ ti rimprovera e un po’ ti rincuora, non sono riuscito esattamente a comprendere il confine tra i due momenti ma credo che questo faccia parte del fascino della tua mamma.
Vorresti presentarci tutte le tue compagne, almeno quelle di cui ci hai raccontato attraverso il tuo diario, non c’è tempo, torneremo, con più tempo da trascorrere in tua e loro compagnia.
Ci saluti, devi tornare in campo.
Arriva poi all’improvviso, puntuale il tuo mantra: “Ho fatto già la cosa peggiore, ora non posso che migliorare.”
Raccogliamo le sacche e c’avviamo lungo il vialetto fino alla macchina.
“Ehi Fede”, le indico con la testa il box di battuta alla nostra destra.
Sei li Chiara, a scaldare il braccio per la battuta, a colpire la pallina che batte sulle maglie della gabbia esattamente davanti a te.
Non alle tue spalle, non troppo sulla destra e nemmeno sulla sinistra.
Nei tuoi occhi lo sguardo di chi sta pensando: “Vai dritta ora stronza, vero?”
Eccolo il momento che ti rende la straordinaria agonista che sei.
Voltare le spalle al campo è la cosa più difficile da fare per me, quando mi sono chiesto perché, sono arrivato alla conclusione che temo di perdere un ricordo.
Non ti vedrò con la casacca azzurra della nazionale indosso.
La scritta Italia bianca che splende insieme al tuo sorriso.
La tua mamma felice insieme a te, il tuo papà orgoglioso.
Ciao, ci vediamo, di questo sono sicuro, alla prima valida in Nazionale.

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