Football Americano Femminile

Un posto che è lontano solo prima di arrivare

Non vi è mai capitato di iniziare un viaggio per caso, per gioco.
Rispondere, “perché no?”
Sono passati tre anni da quando, con Mauro, siamo andati ad una partita di uno sport più che minore, uno sport sconosciuto. Sul un campo da calcio c’erano sette donne intente a scontrarsi con altre sette donne, cercando di far avanzare un pallone ovale e marroncino.
Tre stagioni dopo, già quando pratichi uno sport il tempo non si misura più in anni ma in stagioni, mi ritrovo su un autobus con quelle stesse donne, dirette verso un campo di Ferrara. C’è una sessione di allenamento, congiunta. Mi allenerò con altre donne meravigliose che come me, che come noi si sono innamorate di questo sport, delle emozioni e delle relazioni che solo lo sport riesce a generare.
Abbiamo attraversato, come squadra, periodi di alti e bassi, di nuovi arrivi, di adii e di arrivederci.
Le Lobsters Pescara al cospetto della stagione 2016 si sono ritrovate davanti ad un dilemma, sportivo e umano.
Le “Lobs” però, sono solo la metà di questa storia.
L’altra metà ruota intorno a Ferrara ed è composta da un gruppo di ragazze nomadi per vocazione: le Fenici.
Un dilemma che abbiamo condiviso con loro, con loro abbiamo trovato una risposta ai nostri dubbi.
Questo campionato lo giocheremo come una unica squadra, saremo insieme le Chimere. “Nu seme nu”, come si dice dalle mie parti, parafrasando potete leggerlo “noi siamo sempre noi”, ma facciamo parte di un sogno più grande, un sogno comune.
Penso a noi come ai mille colori diversi che si armonizzano, come quando guardate un arcobaleno.
Quando a gennaio di quest’anno ci siamo guardate negli occhi, nel nostro spogliatoio a Pescara, le Lobsters avevano una decisione da prendere: giocare il campionato in 12, unire le forze con le Fenici o non partecipare affatto.
La nostra stagione 2015, ci ha messo davanti ad una inequivocabile verità: disputare anche solo tre partite con un roster di 12 giocatori, costituisce un dispendio di energie che porta a poco e toglie troppo.
Non ero particolarmente entusiasta di ritrovarci con altre ragazze per lavorare ad una squadra comune, eppure ero fermamente convinta che questa, a parer mio, fosse l’unica soluzione per poter disputare un campionato con qualche ambizione, per giocare davvero, non solo per sopravvivere.
Lo scorso anno parlavo con Ilaria della sua esperienza con il One Team, squadra composta da tre team per poter avere un ampio roster e per poter giocare buone partite.
Ricordo che le dissi che capivo benissimo, i numeri erano bassi ma non credevo che la “fusione” con altre squadre potesse essere la risposta all’incapacità del football americano femminile di attirare nuove atlete. Questo, a dir la verità, è ancora il mio punto di vista, ho però decisamente cambiato prospettiva.
Mi è chiaro ora cosa spinga me e le mie compagne di sport a fare tanti sacrifici per spostarsi, cercare di trovare la giusta armonia, in campo e fuori, per mettere su una squadra e non solo un gruppo di donne volenterose. Rimango salda nella mia ricerca di una risposta diversa alla condizione di regresso del movimento, i motivi sono di certo da ricercare altrove, questo sarà un discorso che riprenderemo in circostanze diverse.
Ora la testa è al campionato e le gambe e il cuore cercano di seguirla e di superare la fatica che questa condizione di pendolari impone.
Pescara, Ferrara, Milano tanti chilometri per una Chimera.
Nuove compagne, nuovi schemi, un nuovo approccio.
Forse sono un po’ nuova anche io, anche se ogni anno che passa chiede dazio al mio fisico e rende tutto più lento e faticoso.
A me piace così, è sempre una sfida, come me innanzitutto.
Con la mia stanchezza cronica che mi fà scoppiare in lacrime quando non ne posso più, con gli acciacchi che lo sport porta con se, con il portafoglio non sempre gonfio per affrontare tutte le spese che questo sport ci chiede d’affrontare.
Se dovessi però dividere questa esperienza in due colonne, cose negative e cose positive, in quella degli aspetti positivi metterei: i sorrisi, le risate, le lacrime, le cene infinite, gli abbracci, gli scontri e i confronti, le esperienze, le cose buffe che si dicono e che ci accadono, la strada e le città che ci ospitano, l’odore dell’erba tagliata che fa tanto gonfiare gli occhi di Karen, i sacrifici di Giorgia che cerca di preparare un’interrogazione mentre le sue compagne si allenano, le mille foto di Nau e la sua freschezza e la sua energia travolgenti, la Wonder mamma che è anche moglie e anche LB, le calze buffe e i piedi di Chiara che chiedono pietà, la voglia di Luca e il gocciolone tipo anime giapponese quando le sue atlete “non c’azzeccano una cippa”, le dita sanguinanti di Angy per un micro taglietto, per la calma olimica di Alessia, i tatuaggi di Ambra che si arricchiscono di nuove immagini e nuovi ricordi ogni anno, per le storie di Simona e la scoperta di come si fa lo zucchero e per le sue fantastiche lenzuola di flanella, per le lunghe trecce rosse di Alice e il rossetto indelebile di Gaia, per le caramelle di Arianna che non ti abbandona mai, per l’impegno di Viky a “fare la brava” e gli sguardi di conforto di Valentina, per gli improbabili compagni di viaggio di Miky e le facce di Pallins, per il telefono rotto di Anthea e i suoi tentativi di fare i compiti di matematica in autobus, per la voglia e l’amore di Davide “Peez” per questo sport, per la sua Wonder moglie e per il piccolo Tommy, per le risate che la stanchezza ci fa fare.
Per tutto questo e per tantissimo altro vale la pena affrontare 6 ore di viaggio devastante i pullman, camminare da una stazione all’altra con questi mega borsoni sulla schiena, sembrare un gruppo di profughe vagabonde e arrivare a casa, dopo due giorni, senza più un briciolo di forza ma pieni di gioia.
Siamo solo all’inizio anche se da qui a quattro mesi sarà già terminata la stagione. Così breve ma così lunga. Così corta ma così piena di emozioni.
Oggi ci si muove a malapena, bisogna sciogliere un po’ le gambe.
Da domani si torna in campo.
Come direbbe Diana, “dajie!”

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